Sentenza su Errore di persona ed incapacità ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica (incesto), coram Silvestri, diei 9 octobris 2013, con commento del Prof. Avv. Paolo MONETA
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Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano e di Appello
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coram R.P.D. mons. Pasquale SILVESTRI, ponente
Prat. N. 2011 I
PUTEOLANA
Nullitatis Matrimonii
X – Y
Sentenza in primo grado di giurisdizione
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Nel nome del Signore. Amen.
Nel corso del pontificato di Papa Francesco, i sottoscritti giudici
rev.mo sac. Andrea PICCIRILLO, preside del Collegio,
rev.mo mons. Pasquale SILVESTRI, giudice istruttore e ponente,
rev.mo p. Filippo GRILLO, congiudice,
costituiti in Collegio giudicante e riuniti legittimamente nella sede del Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano e di Appello, dopo aver esaminato gli atti di causa relativi all’istanza di dichiarazione di nullità del matrimonio celebrato in data 6 giugno 1992 nella chiesa dedicata a omissis, diocesi di Pozzuoli, tra:
X, nata nel 1968, collaboratrice domestica, rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Antonia VITELLIO, parte attrice, e
Y, nato nel 1964, parte convenuta,
esaurita la discussione giudiziale cui hanno preso parte la dr.ssa Maria POLVERINO, difensore del Vincolo di questo Tribunale, la dott.ssa Carmela SCOTTI difensore del vincolo sostituto, nonché il patrono di parte attrice;
data al convenuto ogni facoltà di legge, non esclusa quella di intervenire personalmente;
hanno pronunciato la seguente sentenza definitiva in primo grado di giudizio.
Fattispecie
1. I bambini hanno bisogno di cure e protezione a causa della loro particolare vulnerabilità e la famiglia è l’istituzione che ha la responsabilità di fornirle: ogni bambino ha diritto alle cure mediche, alla sicurezza sociale, a ricevere un’educazione, ha diritto alla protezione dallo sfruttamento lavorativo e sessuale, dalla vendita e da tutte le forme di sopruso, di abuso e di maltrattamento. A tali diritti dei bambini corrispondono altrettanti doveri dei genitori che devono essere dai coniugi, futuri genitori, accettati fin dal momento del consenso nella previsione che, normalmente, il matrimonio sarà allietato dalla presenza di figli. Appare evidente che qualora uno o entrambi i coniugi, fin da prima delle nozze, fosse portatore di una patologia grave, come la tendenza all’abuso sessuale dei propri figli (incesto), che lo rendesse incapace a sostenere l’onere educativo essenziale della prole, non potrebbe esprimere un valido consenso; come altrettanto evidente appare che tali patologie non potrebbero essere verificate, e quindi denunciate, se non nel caso in cui il matrimonio sia, di fatto, allietato dalla nascita dei figli. Così come risulta evidente che chi sposa non vorrà mai unirsi ad una persona che un domani, nel corso della vita coniugale, abusi sessualmente dei propri figli. Pertanto, in caso di incesto, è da presumersi che chi ha sposato l’incestuoso sia caduto in un errore circa una qualità implicitamente determinante, nella sostanza, la persona che sposava e, quindi, in errore di persona. E questo è il caso di X che conobbe Y nell’agosto del 1990 su una spiaggia vicino Napoli. Il fidanzamento tra i due trascorse serenamente e durò circa un anno. Y, all’epoca, appariva persona buona, gentile, legato ai valori della famiglia e non diede mai a X occasione di sospettare che potesse essere persona completamente diversa da quello che appariva. X, quindi, molto innamorata e desiderosa di fare famiglia, propose le nozze ma, contrariamente a quanto si sarebbe aspettata a motivo dei valori che lei presumeva avesse Y, questi si dimostrò contrario all’idea di sposare e propose di fare solo una convivenza cosa che X immediatamente rifiutò. Dinanzi al deciso rifiuto di X, Y acconsentì alle nozze in chiesa che furono celebrate il 6 giugno 1992 nella chiesa parrocchiale dedicata omissis, diocesi di Pozzuoli. I due andarono a vivere in una casa presa in affitto e la convivenza durò circa tredici anni. All’inizio le cose tra loro trascorsero serenamente ma poi iniziarono a sorgere incomprensioni e litigi dovuti al comportamento di Y che si arrabbiava senza alcun motivo. X, nel 1994, uscì incinta ed ebbe un aborto spontaneo e, dopo questo tragico evento da lei vissuto in maniera traumatica, passarono altri 5 anni e, nuovamente, uscì incinta nel 2000 dando così alla luce la piccola M. Intanto le incomprensioni tra i due aumentavano anche perché Y trascorreva molte ore al computer nelle ore notturne collegandosi a siti erotici e chattava con un’altra donna con la quale aveva iniziato ad intrattenere una relazione extraconiugale. Nel giugno 2004, dopo un violento litigio, Y andò via di casa e non fece più ritorno. Dopo qualche settimana, nel luglio 2004, la piccola M, di soli quattro anni, che non aveva dimostrato alcun dispiacere per l’allontanameto del padre dalla casa coniugale, cominciò a raccontare alla mamma gli abusi sessuali subiti ad opera del padre a partire dalla tenerissima età di tre anni. X, soltanto allora, ebbe la consapevolezza di aver sposato una persona completamente diversa da quella che aveva conosciuto nel fidanzamento ed immediatamente si recò dall’avvocato per chiedere la separazione e si rivolse ai servizi sociali per cercare aiuto per la piccola M che era rimasta fortemente traumatizzata per gli abusi sessuali subiti da parte del padre. X e M si sottoposero a numerose sedute psicodiagnostiche, per circa 4 anni, nel corso delle quali X ebbe la tristissima conferma degli abusi sessuali subiti dalla bambina. Tali abusi furono riconosciuti dal Tribunale per i Minorenni che decretò la perdita della potestà genitoriale di Y e, introdotto processo penale, questi veniva condannato a dieci anni e sei mesi di reclusione ed alle pene accessorie della perdita di potestà di genitore, dell’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela, nonché della perdita del diritto agli alimenti, l’esclusione della successione della figlia M e l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico nelle scuole o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori e, infine, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Svolgimento del processo
2. In data 25 maggio 2011 la parte attrice ha presentato presso questo Tribunale, competente ratione celebratione, regolare libello accusando di nullità il suo matrimonio per errore sulla persona del convenuto e per incapacità del convenuto ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica.
Con decreto del 31 maggio 2011 è stato costituito il collegio giudicante: rev.mo sac. Andrea PICCIRILLO, preside del Collegio; rev.mo mons. Pasquale SILVESTRI, giudice istruttore e ponente; rev.mo p. Filippo GRILLO, congiudice. E’ stata nominata la dr.ssa Maria POLVERINO difensore del Vincolo titolare e la dott.ssa Carmela SCOTTI difensore del vincolo sostituto.
In data 31 maggio 2011 è stato ammesso il libello e l’11 luglio 2011 sono state citate le parti per la concordanza del dubbio avvenuta il 10 ottobre 2011 ed il dubbio è stato concordato con la formula: Se consti la nullità di questo matrimonio per errore da parte dell’attrice sulla persona del convenuto (can. 1097, § 1 C.I.C.) e per incapacità ad assumere gli oneri coniugali da parte del convenuto (can. 1095, n. 3 C.I.C.).
La parte convenuta è stata dichiarata assente in giudizio il 6 giugno 2012.
Durante la fase istruttoria sono stati ascoltati cinque testimoni di parte attrice.
Conclusa la fase istruttoria, la pubblicazione degli atti è stata decretata in data 11 aprile 2013, la conclusione in causa è stata decretata in data 23 maggio 2013, il patrono di parte attrice ha depositato il suo restrictus il 3 luglio 2013, il difensore del Vincolo ha depositato le sue animadversiones l’11 luglio 2013 rimettendosi alla giustizia del Tribunale.
Oggi noi giudici, con sentenza definitiva di primo grado, dobbiamo rispondere al dubbio concordato.
In Diritto
I – Persona e matrimonio: qualità accidentali e sostanziali della persona. La volontà implicita di “ogni nubente”.
3. E’ principio universale di diritto, già sancito dal diritto romano, che l’error in substantia rende nullo il consenso e che, pertanto, non videntur qui errant consentire (Ulp., l. 116, § 2 D. De R. I. 50, 17). Si trattava di error in substantia e S. Tommaso, in maniera molto chiara in relazione al matrimonio, considerando che il consenso è la causa efficiente del matrimonio, spiegando la rilevanza dell’errore diceva: Quidquid impedit causam de sui natura, impedit et effectum similiter. Consensus autem est causa matrimonii… Et ideo quod evacuat consensum, evacuat matrimonium. Consensus autem voluntatis est actus, qui praesupponit actum intellectus. Deficiente autem primo, necesse est defectum contingere secundo. Et ideo, quando error cognitionem impedit, sequitur etiam in ipso consensu defectus. Et, per consequens, in matrimonio. Et sic error de iure naturali habet quod evacuet matrimonium (S. Tommaso, Supplem., q. 51, art. 1, in c.). Quindi se per la validità del consenso matrimoniale, come atto umano, si richiede la cognitio, la aestimatio e la selectio, ed in mancanza di uno di questi tre elementi si ammette il difetto dell’atto umano e quindi dello stesso consenso matrimoniale, allora appare evidente che, di fronte ad una cognitio mendosa non si possa avere una vera aestimatio ed una vera selectio, e che quindi ad un difetto di libertà umana nella scelta consegue un difetto dello stesso atto umano cioè dello stesso consenso matrimoniale.
4. Sono ormai noti e consolidati i principi sviluppati dalla giurisprudenza sia in riferimento all’applicazione del can. 1083 del precedente Codice di Diritto Canonico, sia in relazione al can. 1097 del vigente Codice che indica, come fonti principali, proprio alcune decisioni rotali emanate in merito. A tenore del can. 1097, infatti, l’errore circa la persona rende invalido il matrimonio mentre l’errore sulla qualità della persona non rende irrito il matrimonio se tale qualità non è voluta direttamente e principalmente. Ogni altro errore su una qualità della persona, anche se abbia dato causa al contratto, si considera accidentale e pertanto privo di forza invalidante. La giurisprudenza rotale, a partire dalla sentenza c. Canals del 21 aprile 1970 (R.R.D., Vol. LXII, p. 370), basandosi sia sull’evoluzione delle scienze sociali circa la concezione della persona sia sulla dottrina del Concilio Vaticano II, oltre l’identità fisica della persona, sulla quale fino ad allora incideva l’errore, mise l’accento sull’aspetto morale della persona ritenendolo non meno importante per l’identificazione dell’individuo (in questo senso vedi anche: R.R.D., c. Serrano, 28 maggio 1982, Vol. LXXIV, pag. 310). Il can. 1097, § 1 del Codice del 1983 stabilisce: Error in persona invalidum reddit matrimonium mentre il can. 1083 del Codice del 1917 stabiliva: Error circa personam invalidum reddit matrimonium; error circa qualitatem personae, etsi det causam contractui, matrimonium irritat tantum: 1° si error qualitatis redundet in errorem personae; 2° si persona libera matrimonium contrahat cum persona quam liberam putat, cum contra sit serva servitute proprie dicta. Non esiste più l’error redundans, ma non per questo è cessata la redundantia, per lo meno quella riferentesi ad una identità ideale della persona: oggi non esiste più l’error circa personam ma esiste l’error in persona, cioè in constituta persona, ed esso riguarda la persona nella sua interezza, cioè la persona nella sua identità materiale e fisica, e la persona nella sua identità ideale riferita al matrimonio in concreto: “Error qualitatis redundans in errorem personae videtur esse quasi species erroris personae, a quo in hoc differt quod error personae versatur circa identitatem physicam personae, error redundans circa identitatem idealem. In generale la qualità è una circumstantia addita alla persona già fisicamente ben definita; ma può essere anche una circostanza che, unita alla persona, diventa come un tutt’uno con essa, per cui può essere sostanziale e accidentale e quindi anche l’errore può essere o sostanziale o accidentale, a seconda se riguardi una qualità sostanziale della persona in quanto oggetto essenziale dell’atto giuridico, o accidentale che può, dall’intenzione della parte, essere elevata a qualità sostanziale soprattutto secondo l’importanza che le viene attribuita (cfr. GULLO C., Error qualitatis redundans in errorem personae, in Il Diritto Ecclesiastico, 1992, pagg. 323-359). Fatta questa prima considerazione circa la qualità essenziale, bisogna chiarire cosa si intende con il termine “persona” in riferimento al consenso matrimoniale.
5. E’ sul piano consensuale, infatti, escluso ogni soggettivismo, che il modo di essere della persona acquista rilevanza giuridica perché in questo campo non si può prescindere dalla peculiare natura del consenso coniugale come relazione interpersonale che si realizza attraverso la mutua accettazione-donazione dei coniugi, donazione-accettazione che può aver luogo attraverso l’immagine intenzionale che ognuno ha dell’altro e che vuole dall’altro, arricchita del resto di tutte le componenti affettive ed anche emotive che caratterizzano la comunicazione interpersonale. L’errore quindi può riguardare la persona sia quoad substantiam sia quoad qualitatem e quando esso si verifica la persona è diversa da quella rappresentata dall’intelletto e voluta dalla volontà. Secondo il Wernz, che scriveva ancor prima del Codice pianobenedettino, l’impedimento dell’errore sostanziale si basava sul diritto naturale e nel diritto romano si prevedeva solo quod enim tam contrarium consensui est quam error, qui imperitiam detegit (L. 15, D. de iurisd. II., 1); nei primi secoli non si trovano canoni riguardo all’errore. I primi qui in foro ecclesiastico quandam doctrinam de impedimento erroris proponerent sono Graziano (c. XXIX, q. 1) e Pietro Lombardo (Sent. 1.IV, d. 30). At Gratianus licet cum P. Lombardo quatruplicem distinguat errorem scilicet personae, fortunae, conditionis, qualitatis, tam ne canones antiquos neque de errore personae, neque de errore fortunae vel qualitatis potest allegare, neque singularis illius erroris redundantis in personam facit expressam mentionem, sed quoad rem ante dictum l.c. illum commemorat. Cuius notionis vel potius artis vocabuli, si non inventor, saltem principalis promotor fuit S. Thomas. In collectionibus Decretalium proprius quidem titulus habetur de impedimento erroris conditionis servilis, sed impedimentum erroris substantialis personae ibidem potius supponitur quam expressis legibus confirmatur… Error substantialis de persona sive antecedens sive concomitans, vincibilis vel invincibilis, ex dolo vel sine fraude ortus, inculpabilis vel culpabilis sive ob defectuum sponsi errantis sive altrius non errantis, ex iure naturae, non ex mera constitutione Ecclesiae constituit impedimentum dirimens matrimonii… Error de qualitate personae redundans in personam, cum revera sit error substantialis de ipsa persona, pariter iure naturae ob defectum mutui consensus dirimit matrimonium (WERNZ F.X., Ius Decretalium, Tom. IV, p. II, ed. 2 emendata et aucta, Prati 1912, pag. 13 n. 222-224). La norma dell’errore è quindi nuova solo formalmente ma non sostanzialmente secondo quanto scrive l’Aquinate quando tratta del consenso matrimoniale: quidquid impedit causam de sui natura, impedit et effectum similiter. Consensus autem est causa matrimonii. Et ideo quod evacuat consensum, evacuat matrimonium. Consensus autem voluntatis est actus qui presupponit actum intellectus. Deficiente autem primo, necesse est defectum contingere in secundo. Et ideo, quando error cognitionem impedit, sequitur in ipso consensu defectus. Et per consequens in matrimonio. Et sic error de iure naturali habet quod evacuet matrimonium (S. TOMMASO, Summa Theologiae, Suppl., q. 51, art. 1).
6. La tradizione canonistica, specie con il vecchio Codice, ha sempre inteso la persona in senso prevalentemente fisico e ciò è evidente dal fatto che tutti gli antichi canonisti, quando dovevano parlare di errore di persona, continuavano sempre a fare riferimento al matrimonio di Giacobbe e di Lia (Gn.29) nel quale si ebbe una vera e propria sostituzione di persona da cui il testo del Decretum Gratiani : Error in persona est quando hic putatur Virgilius qui est Plautus (Decretum, c. 29, q. 1). Anche dopo la promulgazione del nuovo Codice non sono mancati canonisti che hanno ribadito questo concetto e tale ridotta interpretazione (NAVARRETE U., Error in persona, in Periodica, LXXXVII, 1998, II-III, p. 365) e sentenze rotali che hanno seguito tale dottrina (R.R.D., c. Florczak, 17 dicembre 1927, Vol. XIX, p. 527 ; c. Mannucci, 20 giugno 1932, Vol. XXIV, p. 231 ; c. Wynen, 28 marzo 1939, Vol. XXXI, p. 179 ; c. Heard, 21 giugno 1941, Vol. XXXIII, p. 528). Ma nella vecchia normativa era disciplinata, come abbiamo visto, la condizione servile, che oggi non esiste più: se uno sposava una persona che credeva essere libera, mentre invece era serva, servitute proprie dicta cioè schiava, il suo consenso era ritenuto nullo per errore, dove la condicio servilis era una qualitas, ma ritenuta dall’ordinamento essenziale della persona, ricollegando all’errore compiuto dal nubente l’effetto irritante: ma era una qualitas. La persona, quindi, non è solo un concetto ontologico o filosofico, e la definizione di natura rationabilis individua substantia data da Boezio e riportata da S. Tommaso (in Summa Theol., I, q. 29, art. 1) non è pienamente applicabile in re matrimoniali, perché ciò che è sostanza individua, in quanto tale singolare, per definizione è incomunicabile mentre la persona del matrimonio è una realtà naturale aperta alla comunicazione, aperta al dialogo col partner, aperta alla vita, qui sembra troppo dire che perche individua è chiusa aperta alla comunicazione nella comunione per la vita: così inteso il concetto di persona oltrepassa gli angusti confini di una entità fisico biologica ed assume i connotati più ampi di sostanza i quali, nel contesto in cui essa viene calata, sono suoi propri, per essere appunto in relazione alla realtà matrimoniale, una entità razionale che si coniuga con un’altra entità razionale, avente pari dignità umana ed in questo senso, quindi, personale. In questo contesto la persona va considerata sotto il duplice profilo dell’essere una realtà ontologica e dell’essere una realtà giuridica in quanto è fonte di diritti e doveri verso se stessa e verso l’altra persona con la quale si coniuga, innanzitutto, otre che verso la futura prole (VILLEGGIANTE S., Errore e volontà simulatoria nel consenso matrimoniale in diritto canonico, in Monitor ecclesiasticus, 1984, p. 487; relativamente al concetto di persona umana integrale, segnaliamo ciò che, in aderenza alla Gaudium et spes n. 48, fu scritto nella sentenza c. Di Felice del 14 gennaio 1978: In propatulo est haec verba “duarum personarum donatio”, quae irrevocabili consensu matrimoniali perficitur, non respicere tantummodo donationem personarum physicarum, sed requirere donationem personarum quoad earum intimam structuram et veritatem interiorem, cum homo persona sit individuus suis dotibus moralibus iuridicis socialibus completus. Persona hominis enim, non dumtaxat nomine vel mensura et pondere corporis sicut externe cognoscitur, reapse determinatur, summopere in negotio maximi momenti prout est matrimonium, in quo plene et complete se tradere debet alteri coniugi in sua vera natura praesertim spirituali, in Monitor Ecclesiasticus, 1978, p. 276; vedi anche c. Grazioli, 1 luglio 1938, R.R.D., vol. XXX, p. 414; c. Wynen, 28 maggio 1939, vol. XXXI, p. 179; c. Brennan, 27 novembre 1958, vol. L, p. 607; c. Rogers, 18 gennaio 1965, vol. LVII, p. 38; c. Mundy, 20 maggio 1969, vol. LXI, p. 521; c. Bejan, 16 luglio 1969, p. 819).
7. Sono poche le pronunce della Rota per errore di persona (R.R.D., c. Sincero, 27 maggio 1911, Vol. III, p. 178 ; c. Heiner, 16 aprile 1913, Vol. V, p. 243; c. Florczak, 17 dicembre 1927, Vol. XIX, p. 527 ; c. Mannucci, 20 giugno 1932, Vol. XXIV, p. 231 ; c. Wynen, 28 marzo 1939, Vol. XXXI, p. 179 ; c. Heard, 21 giugno 1941, Vol. XXXIII, p. 533 così CARMIGNANI CARIDI S., L’error personae vel qualitatis personae nella giurisprudenza rotale, in Il Diritto Ecclesiastico, 1991, fasc. 2, pp. 105-118), ma sotto l’influsso dei principi affermati dal Concilio Vaticano II, il quale ha evidenziato i diritti della persona umana e la sua dignità, non solo è cessata la rigida interpretazione che si aveva sul c.d. error redundans, ma si è spostata l’attenzione ed approfondito l’oggetto formale sostanziale del consenso coniugale che non è più lo ius in corpus, come nel vecchio Codice, ma abbraccia ex natura sua il diritto alla comunione di vita, che diventa matrimoniale dal momento che con l’assunzione dell’impegno da parte della persona del matrimonio nascono correlativi diritti-obblighi per entrambi i nubenti. Anche la Rota, quindi, cominciò a far proprio un concetto di “persona” diverso e si ebbero le sentenze c. Anné del 25 febbraio 1969 (R.R.D., 25 febbraio 1969, Vol. LXI) e c. Canals del 21 aprile 1970 (R.R.D., 21 aprile 1970, Vol. LXII, p. 371) che introdussero il concetto di persona magis integre considerata. Certo non si deve assolutamente ampliare talmente il concetto di “persona” così da includervi qualità che sostanziali non sono, fino a svuotare di senso e significato la qualitas directe et principaliter intenta (can. 1097, § 2). Il grande inconveniente è – quando si tocca il canone 1097, § 1 e se ne vuole stabilire la portata – quello di includere arbitrariamente come sostanziale nel § 1 le qualità che sostanziali non sono e che potrebbero essere oggetto del § 2 dello stesso canone, facendo passare per errore sostanziale quello che invece è errore accidentale e che soltanto per intenzione specifica del nubente potrebbe diventare essenziale. E se è vero che il concetto di persona non può essere talmente esteso ita ut comprehendat omnia quae pars in comparte desiderare potest aut adesse autumacrede, tuttavia esistono delle qualità obiettivamente talmente rilevanti che, unendosi alla persona fisica fino ad incorporarsi in essa, la fanno essere diversa da quella che appare. In una sentenza c. Pompedda si legge: num eiusmodi notio personae utpote nempe merae realitatis psysicae respondeat nostri temporis hominum conscientiae… ad bonum coniugum et ad fines essentiales connubi magis persona in sua realitate physica an vero praedita quibusdam qualitatibus conferat (R.R.D., c. Pompedda, 22 luglio 1985, Vol. LXXVII, p. 399, n. 9). Per definire, quindi, il concetto di persona, allorchè si studia il matrimonio, non è possibile farlo senza tener presente gli elementi e le finalità proprie del matrimonio stesso. Ma obiectum contractus matrimonii – e l’errore sostanziale abbraccia lo stesso oggetto – sono gli stessi coniugi qui sese mutuo tradunt et accipiunt, realmente soggetto-oggetto, per cui l’error in persona riguarda sì il soggetto ma che è anche l’oggetto, per cui l’errore non si può più limitare alla sola considerazione del soggetto ma necessariamente si estende all’oggetto e lo investe nella sua sostanza contrattuale coniugale e quella determinata qualità in hominum aestimatione acquirit valorem essentialem. La qualitas, avente valore essenziale per sé stante, prescinde dall’aspetto soggettivo, ovverosia, dalla posizione pratica soggettiva che può, o no, essere assunta dal contraente: quella determinata qualità ha valore di assolutezza, valore primario e fondamentale tale che senza di essa qualità la stessa persona, la sua identità sostanziale, risulta essere diversa, un’altra né intellettualmente a sé rappresentata né liberamente voluta. « L’errore sulla persona invalidante il matrimonio non può essere limitato all’errore circa gli elementi essenziali che identificano la persona della comtroparte nella sua integrità. In altre parole, intendendosi qui persona come oggetto del consenso matrimoniale, l’errore sulla persona va inteso come un error in obiecto e non deve essere limitato all’errore in identitate obiecti come si diceva in diritto romano, l’error in corpore, ma si deve comprendere anche l’error in substantia obiecti, l’errore cioè nelle sue proprietà essenziali della persona nella sua dimensione spirituale, morale, sociale » (RICCIARDI G., Errore sulla persona e sulla qualità della persona intesa direttamente e principalmente nel matrimonio canonico, in La nuova legislazione matrimoniale canonica, Torino 1986, p. 71).
8. La persona, quindi, va considerata in armonia con la struttura e le finalità proprie del matrimonio e tenendo presente la coppia in concreto (di parere opposto FUNGHINI R., L’errore in persona, in Diritto Matrimoniale Canonico – Vol. II, Città del Vaticano 2003, p. 155 : « Si deve ritenere come parto di fantasia l’illazione, diffusa e propagandata subito dopo la promulgazione del vigente Codice, di un radicale cambiamento o estensivo significato dal Codice attribuito alla parola persona »). Ma già una sentenza c. Serrano del 28 maggio 1982 (R.R.D., Vol. LXXIV, p. 317 n. 15) aveva evidenziato che lo sbaglio di considerare la persona soltanto sotto l’aspetto fisico, derivava dal fatto di restringere l’oggetto del contratto allo ius in corpus. Invece bisogna considerare le qualità della persona in armonia, come più volte detto, con la natura, la struttura e le finalità essenziali dell’istituto matrimoniale e tutte accomodate col matrimonio concreto che viene celebrato tra due persone di sesso diverso in un determinato contesto storico. Evidentemente si tratta di considerare oggettivamente che una certa situazione di fatto – secondo l’oggettivo sentire umano – non risponda alla natura essenziale del connubio, sia cioè preclusiva delle sue finalità etico-giuridiche essenziali, e ne renda impossibile l’assunzione-realizzazione sì che il soggetto risulti non essere la persona fonte dei diritti-doveri specifici del matrimonio. In questi casi possiamo dire che esiste una voluntas implicita in ogni nubente nel non volere quella qualità, oppure quel coniuge privo di quella determinata qualità, che, se mancasse, sicuramente determinerebbe un vero e proprio errore di persona. Per cui una volontà implicita, patrimonio etico-socio-culturale di un determinato ambiente storico, in relazione al matrimonio concreto da parte del nubente che di quell’ambiente fa parte deve essere ritenuta come giuridicamente rilevante, primieramente perché tutto l’ambiente ritiene sostanziale una determinata qualità per identificare la persona nel matrimonio, con la conseguenza che quella determinata persona perde la sua stessa identità personale matrimoniale nel momento in cui il suo essere persona in relazione all’atto giuridico si pone in antitesi alla sua sostanziale natura o alle sue essenziali finalità: opera la voluntas implicita sì che la persona, anche se fisicamente identificata, non è la persona suapte natura habilis all’atto giuridico-matrimonio. « Un’interpretazione che superi quella tradizionale sembra necessaria ad alcuni cultori ed operatori di diritto. In armonia con il pensiero filosofico odierno e facendo propri i risultati cui è pervenuta la moderna antropologia, nell’interpretazione giuridica, bisogna partire da una concezione dell’uomo più profonda e più complessa di quella tradizionale dando rilievo all’essere sociale dell’uomo, alla relazione dialettica che si instaura tra individuo e società, all’esperienza storica che contribuisce al formarsi della personalità di ciascun individuo, con la conseguenza che l’errore su una delle qualità individuanti della persona costituisce un vero e proprio error redundans in errorem personae, un errore che si risolve nell’identità stessa della persona dell’altro contraente » (MONETA P., Errore sulle qualità individuanti e di interpretazione evolutive, in Il Diritto Ecclesiastico, 1970, I-II, p. 32).
9. Sua Ecc.za mons. POMPEDDA, nel 1994, parlando dell’AIDS, e dando il giusto risalto al bonum coniugum ed al bonum prolis e cioè alle finalità essenziali del connubio, ricorrendo al sentire universalissimo della generalità degli uomini di fronte a tale malattia, dichiarò che sussisteva una chiara voluntas implicita che dava rilevanza all’errore dell’altro contraente. Così egli scriveva: “Noi, cioè, ci troviamo oggi in una situazione storica, in una contingenza culturale nella quale abbiamo veramente il terrore della malattia in parola, per cui avviene che, stante questo tremendo timore in chiunque, nelle persone almeno che godono di una certa prudenza, di una certa maturità e che si preparano al matrimonio, quasi come prerequisito non forse soltanto sul piano dell’inconscio, ma anche in modo del tutto consapevole, stante dunque questa tendenza, questa esigenza a non contrarre matrimonio con persone che si trovino in una simile condizione, le medesime debbano ritenersi come aventi per oggetto una qualità direttamente e principalmente intesa (l’immunità dell’altro dalla malattia dell’AIDS), e ciò -lo si ripete- non tanto in forma soggettiva quanto piuttosto in modo oggettivo, muovendosi cioè le medesime persone su una linea, su un piano quasi di comune e diffuso e profondamente sentito intendimento nei confronti di quella qualità. Posizione questa, del resto, non nuova nella giurisprudenza Rotale, la quale può richiamare una celebre sentenza (R.R.D., 21 giugno 1941, c. Heard, vol. XXXIII, pp. 528-533) in una particolare fattispecie… Se una parte contraesse matrimonio con un’altra certamente affetta da AIDS, ma come tale non conosciuta da quella, e comunque senza che soggettivamente si giunga ad una volontà intesa direttamente e principalmente sulla qualità (della sanità)? propenderei -nella situazione storica attuale- per una risposta affermativa e, naturalmente dico ciò, facendo astrazione dall’elemento del dolo che eventualmente si fosse aggiunto al semplice errore. In fondo si tratterebbe di una volontà non soggettivamente semplicemente implicita, ma piuttosto di una volontà implicita in quanto assorbita in una volontà quasi generale e comune e quindi estesa oggettivamente alla comunità particolare (della specifica cultura e della specifica estensione geografica”. E’ evidente che una persona affetta da AIDS, che per gli effetti deleteri che certamente produce nella persona dell’altro coniuge venendo con essa a contatto intimo, si pone certamente in antitesi al bonum coniugum al quale è ordinato il consortium totius vitae e prima ancora, potremmo dire, della ordinatio ad bonum prolis: ebbene tale persona, considerata la natura e considerate le finalità dell’istituto matrimoniale, rendendo impossibile, già sin dal momento genetico del patto di alleanza, la realizzazione di un bonum essenziale che è proprio della natura del negotium è, o si fa da sé, naturalmente inabile al matrimonio quale soggetto fonte di quei diritti-doveri ai quali l’altro coniuge per giustizia ha diritto e verso i quali per diritto di natura ha diritto di nutrire ogni sua legittima aspettativa. E questo va applicato, a maggior ragione, al coniuge che, affetto da una particolare patologia, non riesca a vivere il minimum del dovere educativo nei confronti della prole e che, anzi, tende patologicamente alle sevizie, ai maltrattamenti, ad abusare sessualmente dei propri figli. Da qui quanto dedotto in una sentenza c. Silvestri del 19 dicembre 1994 in cui si fa riferimento anche al dovere di sincerità tra gli stessi nubendi i quali devono dare una giusta rappresentazione di se all’altro prima del matrimonio non tacendo assolutamente la presenza (o l’assenza) di qualità che potrebbero essere necessarie al coniugio (Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano, c. Silvestri, 19 dicembre 1994, in Il Diritto Ecclesiastico, 1995, vol. III, pag. 252). In una concezione personalistica duale-paritaria del matrimonio, indole sua naturali ordinato ad bonum coniugum et ad bonum prolis, si ha il dovere di dare un’immagine vera di sé e perfetta. quanto più possibile, e ciò non solo perché, come esigenza primaria, è richiesto dal sese mutuo tradunt et accipiunt, ma perché una falsa rappresentazione della persona oggetto della scelta matrimoniale rende nullo il consenso.
10. Nel 1957 il cardinal Felici affermava: fieri tamen potest ut error ita penetret et atrahat personalitatem, ut dicitur contrahentis, ut aliter ipse nolit quam cogitet, aliter non agat vel operetur, quam mente valutet. In hoc casu error dici potest inducere nullitatem coniugii, non tam in se ipso quam potius propter voluntatem per se ipsum vitiatam (R.R.D., c. Felici, 17 dicembre 1957, vol. XLIX, p. 844, n. 3).Una sentenza Rotale (R.R.D., c. Burke, 25 ottobre 1990, vol. LXXXII, pp. 723-724) richiama il dovere dei fidanzati di dare ciascuno una immagine vera di sé all’altro e non falsa, e si tratta di stricti iuris che ha l’altro di conoscere il vero, la cui violazione secum fert ut consensus nupturientis dirigatur in obiectum prorsus dissimile ab eo quod eligere censeat; exinde fit ut libertas necnon authenticitas consensus eius vitientur. E, in questa direzione, abbiamo anche la sentenza c. Turnaturi del 21 novembre 1997 e le sentenze c. Defilippi del 4 dicembre 1997 e del 26 novembre 1998 e nella quale, con espresso riferimento all’autodonazione dei nubenti, si afferma: ut reapse coniugalis sit requirit ut uterque contrahens sibi efformet adaequatam imaginem alterius nubentis, quae realitati correspondeat. Secus si quis aliquam speciem haberet alterius contrahentis, quae revera substantialiter differt a veritate, vitiatur obiectum ipsius consensus, quod realitati non corresponderet… Si sistimus in ipso campo iuridico-canonistico, persona utpote subiectum iurium et obligationum, non identificatur tantum criterio physico, sed etiam ex aliis elementis seu qualitatibus, quae tanquam maximi momenti habentur in ipso Codice (in FUNGHINI R., op. cit., p. 157).
11. Chi, dopo le nozze, si rende conto di aver sposato una persona affetta da AIDS che prima di sposare nemmeno sapeva di essere sieropositivo è evidente che si deve pensare che, già all’epoca delle nozze e prima di esse, vi fosse sia in lei che in lui una voluntas implicita di non volere un matrimonio con un portatore di AIDS perché questo è il comune sentire di ogni persona sana ed equilibrata che va al matrimonio. La stessa cosa deve dirsi se il contraente non sa o crede di non essere affetto da sclerosi multipla e di conseguenza non dice nulla del suo specifico morbo all’altra parte o non sa di essere il prodotto, dannoso per sé e per la comparte e per la futura prole, di una alterazione genetica che provocherà la morte degli eventuali figli (cfr. la sentenza c. Silvestri, 30 marzo 1998, in Il Diritto Ecclesiastico, 1998, vol. III, pp. 356‑393 e in SILVESTRI P., La nullità del matrimonio canonico, Ed. Guida, Napoli 2004, p. 141); oppure di essere patologicamente orientato all’incesto ed all’abuso sessuale dei propri figli (si pensi alla c. Giannecchini del 25 aprile 1986, dove venne concessa la nullità per errore di persona perchè la parte attrice aveva sposato un drogato in quanto nella sentenza si ritiene che, secondo la stima comune, la persona che faccia uso di sostanze stupefacenti debba essere considerata persona del tutto diversa da quella che da tale uso si astenga: Uno verbo qualitas personae irritare potest matrimonium dummodo obiective et subiective in casu de eius praevalencia ac necessitate in determinatione et electione personae constet. Nunc autem nostris temporibus usus vel abusus aromatis grave sociale constituit nedum ob graves consequentias personales, quae non raro in periculo ponunt valetudinem et ipsamet vitam ipsius coniugis, sed etiam ob consectaria in ambitu familiae ac societatis. Aromatizatus valetudine deficit, pacem familiarem ac communionem vitae coniugalis labe factat ac conturbat. Non raro, hac de causa, plura delicta et facinore perpensas et in legem poenalem incidit. Quapropter, obiective et in communi hominum aestimatione non sine causa totaliter alia est persona prout aromatibus abucitur… qualitas hac revera personam determinare vel designare potest. Error ergo circa hanc qualitatem est error in personam contrahentis, qua deficiente ipsum matrimonium deficit, prot. 13115 sentenza non pubblicata in R.R.D.) .
12. Si richiede innanzitutto la valutazione oggettiva della qualità perché essa possa assurgere a sostanza della persona; ma per la rilevanza, come detto, della voluntas saltem implicita si richiede che detta qualità sia ritenuta di grandissima importanza dalla generalità degli uomini di un determinato contesto sociale – storico di cui i nubenti fanno parte, ed è proprio a causa di ciò che si può parlare di una loro voluntas implicita. “All’errore circa le qualità dell’oggetto può esser riconosciuta forza irritante, quando esistano gravi motivi di equità per eliminare le conseguenze dell’atto posto in essere. Presso determinati popoli non si ritengono idonee al matrimonio le ragazze non più vergini o le persone incapaci di procreare. L’esistenza dì questo requisito è, in modo generalizzato, considerata così importante per queste persone da dover esser ritenuta (salvo prova contraria) esigìta implicitamente da ogni contraente, sì che questa qualità ‑ per esser considerata giuridicamente rilevante ‑ non ha bisogno di essere esplicitata in un positivo atto di volontà (c. De Lanversin, 15 giugno 1989, in Il Diritto Ecclesiastico,1993, vol. III, p. 264). Una cosa è la qualitas ritenuta sostanziale dalla persona iuxta universalissimam aestimationem hominum, di un certo luogo e di un certo tempo, di un certo contesto sociale e di una certa epoca storica, ed un’altra cosa è elevare le qualità suapte natura accidentali a valore sostanziale per espressa determinazione intenzionale. Ci sono infatti circostanze definite come qualità, come p. es. l’AIDS, la sclerosi multipla, le malattie provenienti da manipolazione genetica, le patologie individuali che sfoceranno in gravi “patologie della cura della prole” (abusi sessuali, incesti, ipercura, sindrome di Munchausen) che talmente ineriscono alla persona, da diventare parte della sua stessa struttura, come si evince dalla sentenza del 13 maggio 1995 c. Pompedda, nella quale si legge che la qualitas personae quae in genere aliquid accidentale haberi debet, nonnumquam tam grave pondus in ordine ethico et sociali atque tam magnum valorem in ordine spirituali et religioso attingere valet, iuxta universalissimam, saltem in certis locis et tempore, aestimationem ut tangat et penetret ipsam personam eamque in sua identitate individue determinet.
II – La prova dell’errore di persona.
13. Ricordiamo che per ricorrere la fattispecie dell’errore di persona deve trattarsi di error circa substantiam cioè di errore circa una qualità sostanziale, ritenuta tale da tutti, della persona, qualità necessaria per l’esercizio dei diritti e doveri propri del matrimonio, tra i quali i diritti e doveri relativi al bonum prolis. La prima cosa da verificare, quindi, è se la qualità, che si afferma non essere stata conosciuta al momento delle nozze, è una qualità sostanziale in quanto, secondo la generale convinzione degli uomini in un determinato contesto socio‑culturale, essa fa parte della struttura essenziale della persona e tocca il concetto stesso di persona integrale, per cui l’errore sulla qualità della persona, che appare sostanzialmente diversa da quella che è realmente, è di fatto error circa substantiam personae in relazione al suo ruolo di coniuge e futuro genitore. La qualità della struttura essenziale della persona in se considerata deve, quindi, possedere note ed importanza tali che, nello spirito del diritto matrimoniale e nell’ambito del consortium vitae coniugalis, la rivelino degna di considerazione e rilevanza: Error circa qualitatem redundat in errorem circa personam cum versatur circa qualitatem quae es natura rei est necessaria ad exercitium iurium et obligationum essentialium matrimonialis contractus. Tunc error circa personam cadit, nam qui caret qualitate sine qua non est persona diversa ab ea quam contrahens ducere intendit. Ex natura rei matrimonialis consensus fertur in elementa constitutiva matrimonii et qualitates compartis necessarias ad exercitium iurium et obligationum essentialium tamquam in illud sine qua non, nisi positivo voluntatis actu quid excludatur (R.R.D., c. Pinto, 12 novembre 1973, vol. LXV, p. 727). Quindi bisogna verificare che la persona abbia errato nel ritenere che l’altro coniuge fosse in possesso di una tale qualità comunemente considerata necessaria per la realizzazione dei doveri essenziali al matrimonio stesso, compresi i doveri attinenti al ruolo genitoriale (c. Faltin, 26 maggio 1989, in Il Diritto Ecclesiastico, 1991, p. 78).
14. Una volta certi che si sia in presenza di una qualità sostanziale bisogna verificare: Exsistentia erroris comprobanda est solidis argumentis, sive ex confessione errantis haustis, sive ex confessione testium, fide dignorum, qui de re, tempore insuspecto, edocti sunt. Etiam prae et post matrimonialis modus agendi errantis magnum momentum constituit, ad eius genuinam mentem dignoscendam. Error enim sustineri nequit si contrahens, tempore sponsaliorum, notitias hausit, sive directe sive indirecte, de defectu qualitatis in comparte exigitae, sed de re nullo modo investigandum curavit, aut si post nuptias omnino passive se gessit statim ac detegit carentiam qualitatis, in quam nunc affirmat se consensum directe et principaliter convertisse (c. Bruno, 18 dicembre 1991, in Monitor Ecclesiasticus, vol. CXVII, 1992, vol. III – IV, pp. 368 – 381).
15. Ai fini della prova, quindi, sono da usare tutti gli strumenti di indagine atti: a) ad acclarare l’esistenza dell’errore al momento della formazione e dell’emissione del consenso; b) ad accertare che l’errore sia stato reale e grave e, in tale verifica, occorre dare la dovuta importanza al fatto che la qualità in esame sia di particolare rilevanza anche sul piano sostanziale oggettivo del vincolo matrimoniale; c) si deve valutare rettamente la reazione innescata dall’asserito errante al momento della scoperta della situazione inesistente, avvertendosi, tuttavia, che, attese la rilevanza sociale e le implicazioni legali e di fatto dello stato matrimoniale, non sempre è di agevole pratica la rottura, immediata e concreta, della convivenza coniugale (AA.VV., La giurisprudenza dei tribunali ecclesiastici italiani, LEV, Città del Vaticano 1989, p. 174).
III – L’incapacità a sostenere gli oneri del matrimonio per anomalia psichica
16. Il consenso matrimoniale è emesso congiuntamente dall’uomo e dalla donna che intendono contrarre le nozze. Con il patto coniugale l’uomo offre alla donna “se stesso”, l’intera sua mascolinità. Uguale gesto compie la donna nei confronti dell’uomo, donando a lui l’intera sua femminilità. Contemporaneamente la donna accetta il dono dell’uomo prendendolo come sposo, l’uomo accetta il dono della donna prendendola come sposa. La ragione formale, la nota propria che delinea la specie del mutuo dono di “se stessi”, degli sposi, viene precisata dal can. 1057, § 2 che ricorda la finalità propria per cui l’uomo e la donna donano “se stessi”, reciprocamente, ossia “per costituire il matrimonio”, per fondare e attuare insieme “il consorzio di tutta la vita, ordinato per sua indole naturale al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione della prole” (can. 1055, § 1) (ABATE M.A., Il matrimonio nella nuova legislazione canonica, Roma 1985, p. 43). Perciò l’espressione “dono di sé” acquista nel matrimonio un significato strettamente giuridico (CARRERAS J., Il bonum coniugum oggetto del consenso matrimoniale, in Ius Ecclesiae, Vol. VI, n. 1, 1994, p. 117).
17. Poiché il matrimonio è stabilito dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale col quale l’uomo e la donna donano e accettano se stessi per costituire il matrimonio, prima condizione per potersi sposare, ossia per potersi “donare, amandosi a titolo di debito” è avere la capacità di realizzare l’atto del consenso matrimoniale con ciò che esso implica (VILADRICH P.J., Comentarios a los cc. 1095-1107, in Codigo de Derecho Canonico, Universidad de Navarra, Pamplona 1983, pp. 654-658; SEBOTT R. – MARUCCI C., Il nuovo diritto matrimoniale della Chiesa. Commento giuridico e teologico ai cann. 1055-1165 del nuovo C.I.C., Napoli, 1985, pp. 129-135). A tale capacità si riferisce il Codice di Diritto Canonico nel can. 1095, in cui è indicato quali persone sono incapaci a prestare il consenso. Vedremo, in relazione al caso che ci occupa, quali patologie mentali possono rendere una persona incapace a sostenere l’onere essenziale della cura dei propri figli e che possono, quindi, invalidare il consenso prestato.
18. “Sono incapaci a contrarre matrimonio coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio” (c. 1095, n. 3 C.I.C.). Diverse anomalie psichiche che ledono la struttura personale del soggetto possono renderlo incapace di assumere gli obblighi matrimoniali e, qualora ciò avvenga, il patto coniugale diviene impossibile, perché nessuno può obbligare se stesso a cose impossibili (cfr. SABBATANI A., L’evolution de la jurisprudence dans les causas de nullitè de mariage pour incapacitè psychique, in Studia Canonica, vol. I, 1967, pp. 143-161; NAVARRETE U., Incapacitas assumendi onera uti caput autonomum nullitatis matrimonii, in Periodica, n. 61, 1972, pp. 47-80; VEGAN M., L’incapacitè d’assumer les obligations du mariage dans la jurisprudence recent du tribunal de la Rote, in Revue de droit canonique, n. 28, 1978, pp. 138-144). C’è però da distinguere tra difficoltà e incapacità, perché solo quest’ultima, che suppone un’anomalia che intacca sostanzialmente la capacità di intendere e di volere, impedisce di contrarre matrimonio (POMPEDDA M.F., Nevrosi e personalità psicopatiche in rapporto al consenso matrimoniale, in Studia et documenta iuris canonici, vol. VII, 1976, pp. 53‑86; Ancora sulle nevrosi e personalità psicopatiche in rapporto al consenso matrimoniale, in Studia et documenta iuris canonici, vol. XII, 1981, pp. 39‑64). Lo stesso enunciato precisa che l’impossibilità ad assumere, fin dall’inizio, i riferiti obblighi, e pertanto ad adempierli in seguito, deve avere le sue radici in “cause di natura psichica”, in anomalie che toccano e turbano la psiche (cfr. ABATE M. A., op. cit., p. 44). Sotto l’aspetto della gravità dell’anomalia psichica che si richiede per il difetto di consenso, il Magistero pontificio ha ricordato: “Deve rimanere chiaro il principio che solo l’incapacità e non già la difficoltà a prestare il consenso… rende nullo il matrimonio… una vera incapacità è ipotizzabile solo in presenza di una seria forma di anomalia che, comunque si voglia definire, deve intaccare sostanzialmente la capacità di intendere e/o volere del contraente” (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota romana, 5 febbraio1987, in A.A.S. 1987, p. 1457). Chi può assumere gli obblighi essenziali al matrimonio, anche se gli risulterà difficile compierli, è capace di sposarsi. La maggiore o minore abilità, e perfino l’incapacità di assolvere tali impegni accidentali al matrimonio, non impedisce di assumere gli obblighi essenziali, che sono quelli immediatamente derivanti dai fini e dalle proprietà del matrimonio, tra i quali sicuramente vi è il compito educativo della prole (cfr. MIRALLES A., Il matrimonio, Ediz. San. Paolo, Milano 1996, p. 272).
19. Evidentemente, quando si parla di malattia o di turbamento non ci si riferisce unicamente a quei disturbi psichici che intaccano la facoltà intellettiva, ma si intendono anche quelle anomalie che, lasciando inalterata tale facoltà, influiscono tuttavia gravemente sulla facoltà volitiva, togliendo alla persona la responsabilità dei propri atti (CAPPELLINI E., Il matrimonio canonico in Italia, Verona 1984, p. 123, voce a cura di POMPEDDA M.F., p. 126; POMPEDDA M.F., Progetto e tendenze attuali della giurisprudenza sulla malattia mentale e il matrimonio, in Ius Canonicum, vol. XXIII, 1983, n. 45, pp. 59‑89). Risulta interessante, a tale proposito, riferire quanto ebbe a dire mons. POMPEDDA in un convegno sull’AIDS: “Con tutto ciò non si intende in modo assoluto svuotare la norma contenuta nel can. 1095 n. 3, ove fa riferimento appunto alla causa di natura psichica, ma piuttosto si vuole porre il quesito (che del resto ci ponemmo già al momento in cui fu promulgato il vigente Codice) se l’inciso ob causas naturae psychicae segni soltanto il limite minimo di individuazione della causa dell’incapacità, e non impedisca quindi l’estendersi dell’incapacità medesima ad ipotesi ove una più grave causa si verifichi” (POMPEDDA M.F., Problematiche di diritto canonico in relazione all’AIDS, in Il Diritto Ecclesiastico, 1995, vol. III, p. 766). E, sempre POMPEDDA, in altro suo studio specificava: “Ritengo quindi che, con maggior rigore giuridico proprio perché con fattispecie più generale, la nuova legislazione canonica avrebbe dovuto (o dovrà?) stabilire l’incapacità a contrarre matrimonio di chi semplicemente non può assumersi gli obblighi essenziali di esso, lasciando poi e alla dottrina e alla giurisprudenza la costruzione dogmatica e le conclusioni casistiche di esso principio. Resta allora da giustificare quel ob gravem anomaliam psychicam con un intento eminentemente pratico, col voler cioè richiamare l’attenzione degli operatori del diritto sulla necessità di una precisa causa radicata nella personalità (la psiche, ma in senso molto lato) del nubente perché si possa giungere ad individuare in esso una incapacità siffatta, e nello stesso tempo perchè la base di questa sia in qualche modo comprovata su elementi oggettivi attraverso appunto una indagine psichiatrico ‑ psicologica appropriata” (POMPEDDA M.F., Studi di diritto matrimoniale canonico, Giuffrè, Milano 1993, p. 96; cfr. anche sull’argomento BIANCHI P.G., Incapacitas assumendi obligationes matrimonii, Glossa, Milano 1998, p. 166 e ss.).
IV – L’onere educativo come onere primario del matrimonio ed il bonum prolis.
20. Il consorzio di tutta la vita che viene costituito tra l’uomo e la donna in virtù del patto matrimoniale, nella sua dimensione ontologica, è caratterizzato dalla ordinatio ad bonum prolis (can. 1055, § 1) con inerenti i diritti-obblighi essenziali, i quali non solo incidono sullo stato di vita matrimoniale (matrimonium in facto esse), ma sono già presenti nel suo principio nel costituirsi del matrimonio (matrimonium in fieri) in quanto entrano nell’oggetto formale del consenso (BONNET P.A., L’ordinatio ad bonum prolis quale causa di nullità matrimoniale, in Il Diritto Ecclesiastico, 1984, vol. II, p. 321) e quindi i coniugi devono essere anche capaci di assolvere il compito educativo rispetto ai propri figli e, in particolare in riferimento al momento del matrimonium in fieri, essere immuni da anomalie mentali che li rendano incapaci a svolgere in pieno tale compito (HERVADA J., Los fines del matrimonio, su relevancia en la estructura juridica matrimonial, Ediz. EUNSA, Pamplona 1960, p. 98).
21. Il bonum prolis comprende in se l’educazione dei figli giacché, cooperando con Dio alla generazione di una nuova persona, i genitori “assumono perciò stesso il compito di aiutarla a vivere una vita pienamente umana” (Familiaris Consortio, n. 36, § 1). L’Esortazione ricorda che il diritto – dovere dei genitori all’educazione dei figli è essenziale e primario, quindi insostituibile ed inalienabile, e pone, come suo elemento fondante o principio ispiratore, l’amore paterno e materno, il quale trova “nell’opera educativa il suo compimento”, rendendo “pieno e perfetto il servizio alla vita”, mentre l’arricchisce di quei valori – bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio – che sono il frutto caratteristico dell’amore (Familiaris Consortio, n. 35, § 2 – 3). Il Codice di Diritto Canonico, nel titolo VII relativo al matrimonio, al cap. VIII su “Gli effetti del matrimonio”, al can. 1136 recita: “I genitori hanno il dovere gravissimo e il diritto primario di curare secondo le proprie forze, l’educazione della prole, sia fisica, sociale e culturale, sia morale e religiosa”. Tante concordanti affermazioni non lasciano dubbi sul fatto che i genitori hanno, rispetto alla prole, un dovere educativo di tipo giuridico cui si impegnano prestando il consenso matrimoniale. Finis primarius, ad quem contractus essentialiter ordinatur, iuxta constantem et communem Ecclesiae doctrinam… est procreatio atque educatio prolis (can. 1013, § 1). Sicut ergo traditio iuris ad actus vere coniugales (can. 1081, § 2) est obiectum formale contractus matrimonialis, ita procreatio et educatio prolis est finis ad quem ipse contractus natura sua seu intrinsece ordinatur. Quia vero consensus in aliquam rem, fertur saltem implicite in effectum, ad quem illa res intrinsece ordinatur si quis conditione sine qua non, vel positivo voluntatis actu in consensum ingrediente, absolute velit prolem enecare, abiicere, mutilare, etc., contractum init qui in sua ipsa essentia differt a societate inter virum et mulierem ad filios procreandos et educandos… idest contractum in sua substantia a matrimonio diversum… ordinatio ad finem primarium, qui est procreatio et educatio prolis, utpote ad bonum prolis pertinens in suo principio, est contractui intrinseca et essentialis, immo maxime essentialis, ita ut si haec ordinatio per actum positivum voluntatis a contrahentibus excludatur, matrimonium vitietur in sua substantia (R.R.D., c. Bejan, 29 ottobre 1966, vol. LVIII, p. 769).
22. I genitori, avendo dato la vita al figlio, hanno il dovere e il diritto di tutelarla e di aiutarla a svilupparsi in tutte le sue componenti fisiche, psichiche e spirituali fino alla maturità della persona. La chiesa cattolica, che già in particolare con Pio XI aveva sottolineato il diritto – dovere dei genitori ad educare i propri figli (cfr. Lettere encicliche Divini illius magistri, 31 dicembre 1929, e Mit brennender Sorge, 15 marzo 1937), ha ripreso decisamente questa tematica nel Concilio Vaticano II e nel post – concilio. Nella dichiarazione conciliare sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, del 28 ottobre 1965, afferma: “I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita” (n. 3). Tale affermazione è ripresa nell’esortazione apostolica Familiaris consortio dove, al n. 36, si legge: “Il dovere – diritto educativo dei genitori si qualifica come essenziale, connesso com’è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l’unicità del rapporto d’amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e che pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato”.
23. Si tratta quindi di un diritto ‑ dovere essenziale alla condizione di genitori, i quali collaborano con Dio nel trasmettere la vita umana: “Il compito dell’educazione affonda le radici nella primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all’opera creatrice di Dio: generando nell’amore e per amore una nuova persona, che in sé ha la vocazione alla crescita e allo sviluppo, i genitori si assumono per ciò stesso il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana” (Familiaris Consortio, n. 36). Il compito educativo, quindi, va a caratterizzare lo stesso consortium totius vitae dei coniugi – genitori, in quanto la persona ha bisogno della famiglia fondata sul matrimonio per ricevere la vita e poi raggiungere la piena maturità in modo confacente alla dignità dell’uomo (JEMOLO A.C., Il matrimonio nel diritto canonico, Milano 1941, p. 257, n. 135; MASTROTTO S., L’educazione della prole come elemento essenziale dell’oggetto formale del consenso matrimoniale, Roma 1984, p. 31; ARRIETA J.I., La posizione giuridica della famiglia nell’ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae, 1995, vol. I, p. 551).
24. Ricordiamo che anche S. Tommaso ha inteso specificare ulteriormente il contenuto di tale diritto – dovere educativo dei genitori nei confronti dei figli: Non enim intendit natura solum generationem prolis, sed traductionem et promotionem usque ad perfectum statum hominis in quantum homo est, qui est status virtutis (in Summa Theologiae, Suppl. q. 41, a. 1, c.) e la tradizione canonistica giuridica ha confermato la specificità di tale dovere coniugale (SANCHEZ T., De sancto matrimonii sacramento disputationum, t. I, Viterbi 1737, lib. 5, disp. 9, n. 12; PONTIUS B., De sacramento matrimonii tractatus, Venetiis 1756, lib. 3, c. 11, n. 3; SCHMALZGRUEBER F., Ius ecclesiasticum universum, t. IV, Romae 1844, lib. 4, tit. 5, n. 6; PICHLER V., Ius canonicum, t. I, Venetiis 1758, lib. 4, tit. 5, n. 12; inoltre abbiamo: GASPARRI P., Tractatus canonicus de matrimonio, vol. II, Città del Vaticano 1932, p. 85, n. 905; WERNZ F.X. – VIDAL P. – AGUIRRE P., Ius matrimoniale, p. 655, n. 518, nt. 32; PAYEN G., De matrimonio, vol. II, p. 135, n. 1733). Alla luce di questi contributi dottrinali e giurisprudenziali possiamo affermare che il compito della paternità/maternità comprende senz’altro l’obbligo da parte dei coniugi – genitori di tutelare il bonum physicum prolis e, più specificamente: a) l’amore verso i figli; b) la cura della loro salute e del loro sviluppo corporale; c) l’educazione integrale.
a) Volere bene ai figli è naturale per i genitori ma, purtroppo, non sono infrequenti i casi aberranti di vera mancanza d’amore verso i figli a volte causati da patologie mentali. Pertanto occorre sottolineare che i genitori hanno il grave obbligo di amare i figli cosicchè vi potrebbero essere delle presunzioni di esclusione dell’aspetto educativo relativo al bonum prolis da parte di coloro che sposano proponendosi di abbandonare i figli, di rinunciare a ogni cura verso di loro, di sottoporli a sevizie, ad abusi e a morte (R.R.D., c. Jullien, 16 ottobre 1948, vol. XL, p. 355; c. Canestri, 26 gennaio 1950, vol. XLII, p. 46; c. Filipiak, 15 maggio 1965, vol. LVII, p. 405; c. Bejan, 29 ottobre 1966, vol. LVIII, p. 769; c. Egan, 20 gennaio 1978, vol. LXX, pp. 30; c. Stankiewicz, 13 maggio 1978, vol. LXX, p. 299; anche il nostro Tribunale Campano si è espresso a riguardo nel passato: “Poichè il consortium vitae è ordinato alla procreazione ed educazione della prole, è evidente che questa ordinatio è elemento essenziale del contratto matrimoniale. Di conseguenza, contrae invalidamente chi, in qualsiasi modo, intenda positivamente impedire il concepimento, la nascita, la sopravvivenza e l’educazione della prole”, Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano, 29 maggio 1986, in Il Diritto Ecclesiastico, 1986, vol. II, p. 541).
b) La sollecitudine per la prole generata e la sua promozione fino alla maturità umana comprende anche la cura della sanità e dello sviluppo corporale dei figli. I genitori sono responsabili della salute dei figli e devono utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione perché crescano sani. L’ordinatio matrimonii ad prolem comporta, infatti, l’obligatio prolem forte generatam suscipiendi atque curandi, ut in vita conservetur nec non educetur uti persona humana in communitate familiae, quae ex matrimonio exoritur (R.R.D., c. Stankiewicz, 20 aprile 1989, vol. LXXXI, p. 280 e dello stesso ponente, 7 marzo 1991, vol. LXXXIII, p. 147; cfr. anche STANKIEWICZ A., L’esclusione della procreazione ed educazione della prole, in Apollinaris, 1990, vol. 63, p. 648).
c) Il dovere educativo è essenziale alla condizione di genitori, i quali collaborano con Dio nel trasmettere la vita umana. E’ un diritto – dovere originale e primario, derivato immediatamente dal disegno di Dio creatore e non da concessioni da parte di autorità umana. E’ un diritto – dovere insostituibile e inalienabile. Il volontario e predeterminato abbandono totale del compito educativo da parte dei genitori costituisce perciò presunzione di esclusione dello stesso bonum prolis se maturato prima del matrimonio stesso. “Esclude il bonum prolis non soltanto chi rifiuti di darsi ed accettare sessualmente l’altro bensì anche chi escluda l’educatio prolis, che comprende il diritto – obbligo alla procreazione, al parto, ad accettare e conservare in vita la prole, nonché ad educarla come persona umana nella famiglia posta in essere dal matrimonio” (Tribunale Ecclesiastico Regionale del Lazio, c. Colantonio, 25 settembre 1992, in Il Diritto Ecclesiastico, 1993, vol. II, p. 175). Pertanto il diritto – dovere educativo assume notevole rilievo nel momento costitutivo del matrimonio (matrimonium in fieri) e, in questa linea interpretativa e facendo riferimento all’educazione e cura della prole nella sola dimensione fisica, la tradizione canonico – teologica è pervenuta al riconoscimento della essenzialità del bonum physicum prolis contro il quale operavano le condizioni invalidanti il consenso, come de prole necanda (R.R.D., c. Canestri, 8 luglio 1941, vol. XXXIII, p. 603; c. Jullien, 16 ottobre 1948, vol. XL, p. 355; c. Canestri, 20 marzo 1948, vol. XL, p. 94; c. Heard, 13 marzo 1948, vol. XL, p. 88; c. Canestri, 26 gennaio 1950, vol. XLII, p. 46; c. Mattioli, 22 maggio 1958, vol. L, p. 347; c. Bejan, 29 ottobre 1966, vol. LVIII, p. 769; c. De Jorio, 23 giugno 1971, vol. LXIII, p. 515; c. Pinto, 12 novembre 1973, vol. LXV, p. 727; c. Bruno, 18 febbraio 1977, vol. LXIX, p. 59; c. Egan, 20 gennaio 1978, vol. LXX, pp. 30-31; c. Stankiewicz, 13 maggio 1978, vol. LXX, p. 209; c. Stankiewicz, 23 luglio 1981, vol. LXXIII, p. 385).
25. Per il caso che ci occupa è evidente che il genitore che abusa sessualmente dei propri figli (incesto) viene meno ad uno dei doveri fondamentali relativi al bonum prolis come già faceva notare il BIANCHI in un suo scritto a commento della sentenza c. Raad del 20 marzo 1980 (in Monitor Ecclesiasticus, 105, 1980, p. 179): “Nessuna osservazione circa i contenuti e le caratteristiche della incapacità indicata. Solo una integrazione-precisazione ci pare possibile: alle autorità dottrinali citate da Raad per sostenere l’essenzialità dell’obbligo dell’educazione della prole non va dimenticato di aggiungere il richiamo al disposto combinato dei canoni 1055, § 1 (ad prolis generationem et educationem ordinatum) e 1136 (officium gravissimum et ius primarium… educationem tum physicam, socialem et culturalem, tum moralem et religiosam pro viribus curandi), che richiamano abbastanza esplicitamente i cann. 1013,§ 1 e 1113 del Codice precedente. Nel caso dell’incesto, poi, (e qui starebbe la precisazione), l’incapacità in parola non andrebbe pensata genericamente in termini di incapacità educativa (cosa che porterebbe a difficili e poco realistiche valutazioni dell’opera educativa globale del genitore e del peso dell’atto o della relazione incestuosa in essa), bensì quale incapacità ad astenersi da azioni in maniera oggettiva gravemente lesive della persona e della moralità dell’educando” (BIANCHI G.P., Incapacitas assumendi obligationes essentiales matrimonii, Ed. Glossa, Milano 1992, p. 217).
V – Le patologie psichiche della “fornitura della cura” che impediscono di assumere l’onere educativo della prole
26. La trasformazione sociale ha fatto sì che i metodi di educazione dei bambini, in precedenza basati su una estrema severità ed imposizione del volere degli adulti, e su metodi di correzione che prevedevano anche il picchiare e l’umiliare, slittassero gradualmente verso una maggiore amorevolezza e apertura al dialogo e al compromesso. Tale trasformazione ha portato inoltre a mettere in discussione l’autorità dei genitori che da assoluta diviene relativa: essi non sono più i soli giudici ed arbitri del benessere del bambino. Questo ha generato il concetto di uso benfatto e malfatto dell’autorità parentale, ossia al suo abuso, in relazione al quale sia la pubblica autorità sia le categorie professionali predisposte sono autorizzate ad intervenire nell’interesse dei bambini. Nella cultura occidentale tra i mezzi di educazione sono talvolta utilizzate punizioni corporali, come il dare ceffoni, sculacciare e generalmente picchiare i propri figli. Questi metodi, che pure prevedono rabbia, attacchi fisici e dolore, anche minimo, e che coinvolgono due individui di differente taglia, peso, forza, sono tuttavia tollerati e accettati in quanto facenti parte dei sistemi di educazione. L’introduzione del concetto di maltrattamento all’infanzia, viene attribuita ad Henry KEMPE, pediatra del Colorado, che nel 1962 pubblicò un lavoro sulla “sindrome del bambino maltrattato” e questo fu il primo passo per la creazione del problema sociale del maltrattamento (KEMPE C.H., SILVERMAN F., STEEL, DROEGEMULLER, SILVER H., The battered child syndrome, in Journal Am. Med. Ass., 181, 1962, pp. 17-24).
27. Negli ultimi anni l’attenzione degli operatori si è progressivamente orientata anche verso i minori vittime di carenze gravi, nutrizionali o affettive. Questo tipo di violenze vengono individuate in quella che abitualmente viene chiamata incuria, termine che – pur essendo entrato nella pratica comune – è improprio: sarebbe più giusto parlare di patologia della fornitura delle cure da parte dei genitori che maltrattano i propri figli (MONTECCHI F., Gli abusi all’infanzia: dalla ricerca all’intervento clinico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, p. 121).
28. La patologia della fornitura delle cure riguarda quelle condizioni in cui i genitori non provvedono adeguatamente ai bisogni, fisici e psichici, del bambino in rapporto al momento evolutivo e all’età. Essa comprende tre categorie cliniche:
1. l’incuria vera e propria, che si realizza quando le cure sono completamente assenti o carenti. Per incuria si intende quindi un’incapacità genitoriale a comportarsi adeguatamente per la tutela della salute, della sicurezza, e del benessere del bambino non provvedendo agli elementi essenziali per lo sviluppo psichico, fisico ed affettivo della potenzialità della persona. Si riscontrano insufficienze nutrizionali, negligenze nelle cure mediche e igieniche, mancanza di protezione del bambino dai pericoli fisici (COLESANTI C., LUNARDI L., Il maltrattamento del minore, Giuffrè, Milano 1995, p. 116);
2. la discuria, che si realizza quando le cure vengono fornite ma in modo distorto, non appropriato al momento evolutivo. In queste situazioni, di solito, i genitori caricano il figlio di proprie aspettative, che sono quasi sempre quelle che un tempo erano i loro desideri. Il bambino è “normale” per i genitori solo (o quasi sempre) quando il suo comportamento coincide con le loro aspettative, laddove queste ultime sono spesso il volerlo il più possibile simile all’immagine che essi hanno, o hanno avuto, di se stessi o del proprio ideale. Tutto questo porta tali genitori ad ignorare i veri bisogni del bambino, appropriati alla fase evolutiva che sta attraversando. Quando il bambino viene considerato come una proprietà su cui realizzare determinati scopi, la sua crescita vitale subisce una violenta interruzione. Chi esercita una violenza fisica sa di fare molto male all’altro; nelle forme di discuria, invece, molto spesso i genitori sono ignari della violenza che stanno esercitando, spesso anzi pensano di agire per il bene dei propri figli e inconsapevolmente possono causare danni maggiori (anacronismo delle cure, imposizione di ritmi di acquisizione precoci, aspettative irrazionali) (MONTECCHI F., Prevenzione, rilevamento e trattamento dell’abuso all’infanzia, Borla, Roma 1991, p. 81).
3. l’ipercura, che si realizza quando le cure sono somministrate in eccesso. Essa comprende:
3.1. La sindrome di Münchausen per procura. Nel DSM-IV, la sindrome viene definita come “Disturbo fittizio con segni e sintomi fisici predominanti”. Questa patologia è una forma di abuso in cui il bambino rischia seri danni fisici e psicologici e, spesso, la vita. I genitori, però, non hanno l’intenzione di procurare danni o uccidere il proprio figlio; essi con il loro comportamento vogliono ricreare una situazione di cure e presa in carico del bambino da parte di altri e rimangono fortemente turbati se egli muore: dunque, paradossalmente la morte del figlio è contraria agli interessi patologici dei genitori. Si tratta di un disturbo psicopatologico che comporta un controllo volontario da parte del soggetto che simula la malattia, talora con lucida convinzione delirante. Quando queste persone hanno figli, esse possono spostare la loro convinzione di malattia su questi, i quali vengono in tal modo sottoposti ad accertamenti clinici inutili e a cure inopportune (COLESANTI C., LUNARDI L., Il maltrattamento del minore, Giuffrè, Milano 1995, p. 133).
3.2. Medical shopping per procura. Si tratta di bambini che hanno sofferto nei primi anni di vita di una grave malattia e da allora vengono sottoposti a un numero spesso elevatissimo di visite mediche per disturbi di minima entità, in quanto i genitori sembrano percepire lievi patologie come gravi minacce per la vita del bambino. Consiste in una “esagerazione della malattia”. Si differenzia dalla sindrome di Münchausen per procura poiché il disturbo materno è di tipo ansioso-ipocondriaco e, accogliendo le ansie e le preoccupazioni che la madre proietta sul figlio, è possibile rassicurarla sullo stato di salute del bambino.
3.3. Help seeker. Il bambino presenta dei sintomi fittizi indotti dalla madre, ma la frequenza degli episodi di abuso è bassa e il confronto con il medico spesso la induce a comunicare i suoi problemi (ansia e depressione nella maggior parte dei casi) e ad accettare un sostegno psicoterapeutico.
3.4. Chemical abuse. Con questo termine si indica l’anomala ed eccessiva somministrazione di sostanze farmacologiche o chimiche al bambino per provocare la sintomatologia e ottenere il ricovero ospedaliero. Si tratta di solito di sonniferi prescritti alla madre dal medico curante: la loro somministrazione a dosi inadeguate causa nel bambino una sindrome neurologica grave che talvolta causa coma e/o morte. Questa sindrome va sospettata quando ci si trova di fronte a sintomi non spiegabili in base alle consuete indagini di laboratorio e strumentali, che insorgono ogni volta che la madre ha un contatto diretto con il bambino (MONTECCHI F., Prevenzione, rilevamento e trattamento dell’abuso all’infanzia, Borla, Roma 1991, p. 83).
3.5. Sindrome da indennizzo per procura. Si tratta di quei casi in cui il bambino presenta i sintomi riferiti dai genitori, in situazioni in cui è previsto l’indennizzo economico. La motivazione psicologica è quella del risarcimento e viene totalmente negata sia dai genitori che dal bambino; i sintomi variano a seconda delle conoscenze mediche della famiglia e la sindrome si risolve con totale e improvvisa guarigione una volta ottenuto il risarcimento (SCAPICCHIO A.M., Linee-guida per operatori psico-sanitari, Corso di formazione sulla prevenzione e strategie di contrasto del fenomeno dell’abuso e del maltrattamento dei minori, Firenze 2001).
VI – In particolare l’abuso sessuale intrafamigliare ed extrafamiliare, l’incesto, la pedofilia.
29. Oltre alle suddette patologie psichiche della “fornitura della cura” che, a seconda della loro gravità, possono rendere il coniuge-genitore incapace di sostenere gli oneri del matrimonio, in particolare quello dell’educazione della prole, vi sono anche patologie psicosessuali che possono rendere il coniuge-genitore gravemente incapace a sostenere gli oneri del matrimonio. L’abuso sessuale viene definito come una qualsiasi attività a carattere sessuale tra un adulto e un bambino, anche nel caso in cui il bambino non si renda conto della natura sessuale della situazione ed anche nel caso in cui non risulti alcuna conseguenza per lui di carattere psichico o comportamentale. Le attività sessuali includono sia atti sessuali veri e propri, sia forme di contatto erotico, sia atti che non prevedono un contatto diretto, come l’esporre il bambino alla vista di un atto sessuale. Ci sono fattori biologici che possono comportare la tendenza all’abuso. Nei fattori biologici sono compresi tutti quegli elementi che diminuiscono o la capacità dei genitori di prendersi cura del bambino, o quella del bambino di essere accudito. La presenza di una malattia o disturbi fisici, sia dei genitori sia del bambino, è un fattore di rischio per il maltrattamento; lo stesso si può dire di tutti quei disagi psichici che hanno per causa malattie e traumi neurologici, e che inficiando il buon funzionamento del sistema nervoso centrale, provocano deficit nelle funzioni cognitive ed emozionali. Del resto spesso in questo campo fattori psicologici e biologici sono così strettamente legati da non poter attribuire l’origine di uno stile di comportamento o di pensiero all’uno o all’altro (GULOTTA G. e CUTICA I., Guida alla perizia in tema di abuso sessuale e alla sua critica, in Collana di Psicologia giuridica e criminale, Giuffrè, Milano 2008). Non è stato possibile individuare tratti comuni e caratteristici di chi molesta bambini, né in quanto a stili di personalità, né in quanto psicopatologia. Sembra che non sia possibile, quindi, fornire un quadro univoco del profilo dell’abusante. Tuttavia vi sono alcune indicazioni generali che sembrano avere una qualche significatività rispetto alla condizione di pedofilia: immaturità affettiva, ossia una scarsa efficacia dei freni inibitori di fronte all’imminenza e all’urgenza degli impulsi sessuali; identificazione deficitaria, mancato riconoscimento delle proprie componenti sessuali; relazioni interpersonali inadeguate, il rapporto con l’altro appare superficiale, non costruito su basi adattive, costruttive e mature (BELAISE C., RAFFI A.R., FAVA G.A., Problemi metodologici nella ricerca sull’abuso sessuale nell’infanzia. Parte I: Definizioni di abuso sessuale in Medicina Psicosomatica, Vol. 45, n. 4, Roma, 2000; MARTONE G., Storia dell’abuso all’infanzia, in MONTECCHI F., Gli abusi all’infanzia, Roma, 1994).
30. Due sono i principali tipi di abuso a seconda del rapporto esistente tra il bambino e l’abusante: l’abuso sessuale intrafamiliare, se l’abusante è un familiare e l’abuso sessuale extrafamiliare, se l’abusante è una figura estranea al nucleo familiare. L’abuso sessuale intrafamiliare viene oggi indicato con il termine “incesto”, che comprende tutti quei casi in cui vengono compiute delle violenze sessuali tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia. Gli abusi sessuali nell’ambito della famiglia possono essere distinti in: a) incesto tra padre e figlia e si tratta del caso di gran lunga più frequente; b) incesto tra padre e figlio; c) incesto tra madre e figlio, evento molto raro; d) incesto tra madre e figlia, anche questo molto raro; e) altri tipi d’incesto in quanto, sempre nell’ambito della famiglia, abusi sessuali possono essere perpetrati da altri parenti, conviventi o comunque presenti con particolare assiduità, come nonni o zii; f) incesto tra fratelli. “L’abuso sessuale intrafamiliare può manifestarsi in tre forme cliniche fondamentali: 1. abusi sessuali manifesti: comprendono diversi comportamenti con contatto, dalle forme più blande di seduzione (baci, carezze, nudità) a quelle più gravi (masturbazione reciproca, rapporti orali, rapporti completi ecc.); 2. abusi sessuali mascherati: si considerano tali le pratiche genitali inconsuete, quali i lavaggi dei genitali, le ispezioni ripetute (anali, vaginali), le applicazioni di creme, adozione di interventi medici di apparenti problemi urinari e genitali. In questo gruppo sono compresi gli abusi sessuali assistiti, in cui i bambini vengono fatti assistere all’attività sessuale dei genitori, non come fatto occasionale ma su precisa richiesta dei genitori stessi. In altre situazioni più complesse e perverse, il bambino viene fatto assistere all’abuso sessuale che un genitore agisce su un fratello o una sorella. 3. pseudoabusi: si tratta di abusi che non sono stati realmente consumati, ma vengono dichiarati per convinzione errata di un genitore, a volte delirante, che il figlio/a sia stato abusato; per consapevole accusa all’ipotetico autore dell’abuso, allo scopo di screditarlo, aggredirlo o perseguirlo giudizialmente, solitamente ciò avviene nei casi di separazione coniugale e affidamento dei figli; per falsa dichiarazione del figlio/a al fine di sovvertire una situazione familiare insostenibile (MONTECCHI F., op.cit., p. 232; sull’argomento vedi anche LUBERTI R., Il maltrattamento e l’abuso sessuale in danno dei minori, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001; MERZAGORA I., L’incesto, Giuffrè, Milano 1986; CAPUTO I., Mai devi dire, Corbaccio, Milano 1995; KEMPE R.S., KEMPE C.H., Le violenze sul bambino, Sovera Multimedia, Roma 1989; ROTRIQUEZ E., La realtà dell’abuso: elementi descrittivi, in MAZZONI G., La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori, Giuffrè, Milano 2000; VEGETTI FINZI S., L’incesto e le conseguenze sull’infanzia, in Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’infanzia e l’adolescenza, Pianeta Infanzia 1: questioni e documenti. Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini, Istituto degli Innocenti, Firenze 1998; CORREA M., MARTUCCI P., La violenza nella famiglia. La sindrome del bambino maltrattato, Cedam, Padova 1987; FURNISS T., L’abuso sessuale del bambino nella famiglia: valutazione e conseguenze, in Bambino incompiuto, 3, 1990). Il secondo gruppo di abusi sessuali sono quelli extrafamiliari, essi riguardano indifferentemente maschi e femmine e si radicano spesso in una condizione di trascuratezza affettiva che spinge il bambino e la bambina ad accettare le attenzioni affettive erotizzate di una figura estranea (SCARDACCIONE G., La tematica dell’abuso sessuale e i principi dell’intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma 2002; VASSALLI A., Abuso sessuale sui bambini: definizione, caratteristiche e conseguenze, in MALACREA M., VASSALLI A., Segreti di famiglia, Raffaello Cortina, Milano 1990; BESSI B., Il maltrattamento e l’abuso sessuale in danno dei minori e gli effetti a lungo termine, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze 2001).
31. Diversi sono i concetti di abuso sessuale sui minori e pedofilia, attualmente tali comportamenti vengono troppo spesso confusi ed è invece importante tenerli distinti. Se la pedofilia è un’attrazione sessuale per i bambini e la persona con tale tendenza la definiamo pedofilo, l’abuso sessuale su minore si riferisce invece all’azione di recare danno ad un minore attraverso comportamenti sessualmente connotati. Non tutti i pedofili mettono in atto abusi sessuali, così come non tutti coloro che abusano di minori di anni quattordici possono definirsi pedofili. Nel primo DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, la pedofilia rientrava nel capitolo della sessualità patologica; nel DSM II era invece considerata una deviazione sessuale; per il DSM III e DSM III R, era inserita tra le parafilie, termine questo che sta ad indicare un disturbo dell’eccitazione sessuale, reso possibile solo da stimoli particolari come ad esempio il feticismo (l’eccitazione che si ottiene attraverso gli abiti o la biancheria intima), il sadismo (l’eccitazione che nasce dal dolore degli altri) o ancora il voyerismo (eccitazione che si ottiene osservando i rapporti sessuali degli altri). Il DSM IV, oltre ad approfondire le precedenti definizioni, aggiunge anche la presenza di “comportamenti ricorrenti” e stabilisce un età massima per il partner: tredici anni. Il pedofilo deve avere più di sedici anni e comunque la differenza di età tra l’abusante e abusato deve essere almeno di cinque anni (DE CATALDO NEUBURGER L.,La pedofilia, aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, Padova 1999).
VII- La sindrome di alienazione genitoriale (PAS) e la prova dell’incapacità a sostenere gli oneri coniugali per patologie inerenti la mancanza di cura della prole. Preesistenza, al momento del consenso, della patologia e perizia medica.
32.Nei casi in cui uno dei genitori accusa l’altro di incesto, abuso e/o maltrattamenti dei figli minori, bisogna fare molta attenzione alle false denunce specie nelle coppie che stanno separandosi o divorziando. Gli autori hanno definito questo fenomeno “sindrome da accuse sessuali di divorzio” (SAID Syndrome) allo scopo di indicare quel fenomeno particolare delle accuse di abuso sessuale che un genitore fa all’altro all’interno o alla fine di una causa di divorzio, ossia quel fenomeno che accade quando la famiglia è disfunzionale. In questi casi, infatti, entrano in gioco una serie di dinamiche e variabili particolari, che vanno esaminate. Le accuse che i coniugi che stanno per separarsi si rivolgono l’un l’altro sono numerose ma, con il passare del tempo e con l’inasprirsi del conflitto spesso in sede giudiziali civile, aumentano le accuse di sconvenienza o stranezze nel comportamento e dei desideri sessuali; talvolta queste accuse prendono la forma di abusi nei confronti dei bambini. I bambini possono venire coinvolti più o meno consapevolmente attraverso quel complesso di azioni chiamate sindrome di alienazione genitoriale (Parental Alienation Sindrome -PAS) in cui un genitore, di solito quello provvisoriamente affidatario, denigra l’altro agli occhi del figlio, accusandolo di nefandezze o comportamenti censurabili al fine di assicurarsi l’affidamento definitivo del piccolo che finisce con l’accettare il punto di vista del genitore che lo ha manipolato (CECI S.J., BRUNCK M., The suggestibility of the child witness: A historical review and synthesis, in Psychological Bullettin, 113 (3), 1993; CECI S.J., CROTTEAU HUFFMAN M.L., Quanto sono suggestionabili i bambini in età prescolare? Fattori cognitivi e sociali, traduzione di VITALI R., in Maltrattamento e abuso all’infanzia, vol. 1, n. 3, dicembre 1999).Per questi motivi il giudice ecclesiastico, ed i periti, faranno molta attenzione a verificare bene la fondatezza delle accuse di incesto facendo riferimento anche alla documentazione dei tribunali civili e penali che hanno esaminato il caso e che sono stati depositati in atti dalle parti in causa.
33. Inoltre, perchè si possa dare applicazione alle singole fattispecie previste dal can. 1095, ricordiamo deve trattarsi di una incapacità preesistente al consenso anche se, naturalmente, gli effetti si riscontreranno solo dopo, nel corso della convivenza. L’incapacità deve essere intesa come incapacità radicale del contraente circa uno degli elementi costitutivi del consenso o circa il consenso stesso. Detta incapacità deve essere tale da inficiare, dal punto di vista della sua idoneità ad nuptias, in modo permanente (anche se non necessariamente perpetuo, stante per certi tipi di sindromi e malattie la possibilità di guarigione, od almeno di miglioramento), il soggetto e la sua personalità (cfr. MUSELLI L., Manuale di diritto canonico e matrimoniale, Bologna 1995, p. 175; GULLO C., Incapacità perpetua di assumere gli oneri coniugali o incapacità di assumere oneri coniugali perpetui?, in Il Diritto Ecclesiastico, 1978, pp. 3‑17; BONNET P.A., L’incapacità relativa agli oneri matrimoniali (can. 1095, 3 CIC), in AA.VV., L’incapacitas, Città del Vaticano 1988, p. 49). Anche in giurisprudenza troviamo una unica pronuncia in merito ad un caso di incesto padre-figlia secondo la quale: incestum potest matrimonium irritum facere si probetur nupturientem, iam tempore nuptiarum, incestuosum, gravem et insanabilem fuisse, cum talis perversio sexualis adversetur sive bono fidei quatenus est contra consortis ius exclusivum, sive bono prolis quatenus est contra educationem. Incestuosus enim est pessimus coniux ac genitor. Satis est ut haec perversio graviter et insanabiliter iam insit contrahenti momento matrimonii, etsi tempore consequenti in lucem emerget (c. Raad, 20 marzo 1980, in Monitor Ecclesiasticus, 105, 1980, p. 179).
34. E’ da tener presente che il genitore abusante ha quasi sempre alle spalle un passato da “abusato” e quindi verrebbe da dire che l’anteriorità della patologia al giorno delle nozze sia quasi da presumere. Evidentemente, infatti, l’incesto, ossia l’abuso sessuale sui figli, non può che avvenire dopo la celebrazione delle nozze e la nascita di questi e, quindi, per valutare il sussistere della patologia già da prima del matrimonio, è molto importante valutare anche i tempi e le modalità dell’avvenuto incesto. Nella c. Raad non si riconosceva incapace il genitore abusante in quanto: “Per quanto concerne l’argomentazione in fatto della ricordata sentenza, dobbiamo pure riconoscerci concordi: gli episodi cui ci si riferisce avvennero solo 18 anni dopo il matrimonio e quando la prima figlia interessata aveva circa 17 anni (normalmente la relazione incestuosa viene iniziata quando la ragazza esce dall’infanzia per entrare nella prima adolescenza); ma soprattutto, non si trattò di atti o proposte incestuose complete, bensì di toccamenti effettuati dal convenuto di fronte a parenti e mostrando di vivere la cosa come uno scherzo. Pur non potendosi affatto questi gesti considerare uno scherzo, anzi dovendosi considerare probrosissimi, come giustamente li definisce la sentenza, e da condannarsi come dimostrazione di gravissima e colpevole irresponsabilità, bisogna tuttavia riconoscere che non risulta provata la loro inevitabilità, così come la loro riconducibilità ad una condizione personale del soggetto presente al momento del matrimonio. In assenza di tali caratteristiche e di un comportamento completo e consolidato, non si può parlare di incapacità” (BIANCHI G.P., Incapacitas assumendi obligationes essentiales matrimonii, Ed. Glossa, Milano 1992, p. 217) ma, nel caso che ci occupa, siamo dinanzi a fatti gravissimi di evidente perversione sessuale accaduti in modo ripetuto su una bambina di tre anni e, quindi, a poco tempo dalla stessa celebrazione delle nozze pertanto possiamo essere certi che il genitore incestuoso fosse, già da prima del matrimonio, gravemente affetto da questa patologia grave patologia psicosessuale anche se non abbiamo, e non potremmo avere, altre manifestazioni di abuso (se non extrafamiliare) riguardo il genitore gravemente incapace a sostenere gli oneri propri del matrimonio. In dottrina, inoltre, GIL DE LA HERAS sostiene, commentando sempre la c. Raad, che l’incesto è un fatto talmente grave che, anche se si verificasse a distanza di molti anni dal matrimonio, questo non sarebbe d’ostacolo per presumere, a carico del genitore incestuoso, l’esistenza di una patologia così grave e radicata in stato di latenza al momento delle nozze: aparece la necesidad de la existencia de la enfermedad al tiempo de la boda asì como su gravedad e incurabilidad. Tampoco seria suficiente la propension en cuanto tal. La constitucionalidad de la enfermedad es un dato de gran interés para conocer el momento de la existencia y su curabilidad. No hubiera impedido reconocer la nulidad el hecho de que durante bastantes anos, 18, se hubiese realizado el consorcio normalmente, si después se hubiese despertado la desviacion sexual, grave e incurable que ya existiese en tiempo de la boda pero en estado de quietud.
35. Riguardo alle caratteristiche individuali in base alle quali si può diagnosticare la tendenza all’abuso e i tempi di insorgenza della stessa ricordiamo: il basso livello di autostima, lo scarso controllo dell’impulso, l’affettività negativa e l’eccessiva risposta allo stress sicuramente aumentano la probabilità che un individuo possa divenire perpetratore di violenza familiare. Anche la dipendenza da alcool e droghe gioca un ruolo importante sia come fattore di rischio sia come elemento predisponente alla violenza. In riferimento al contesto ambientale più vasto, la violenza intrafamiliare è legata anche alle caratteristiche della comunità in cui la famiglia è collocata, come la povertà, l’assenza di servizi per la famiglia, l’isolamento e la mancanza di coesione sociale. Inoltre alti livelli di disoccupazione, abitazioni inadeguate e violenza nella comunità contribuiscono ad aumentare il rischio. Considerando che, certamente, non tutte le famiglie povere abusano dei propri figli, varie ricerche hanno sottolineato che la principale differenza tra famiglie povere che abusano dei figli e quelle che non abusano consiste nel grado di coesione sociale e di assistenza reciproca trovata nelle loro comunità. Altre ricerche, successivamente, hanno dimostrato che le famiglie abusanti socializzano meno con i propri vicini di casa rispetto alle famiglie non abusanti. Infine, la ricerca ha dimostrato che esiste uno specifico contesto sociale e culturale della violenza intrafamiliare. Si ritiene, infatti, che tale tipo di violenza sia compiuta attraverso precisi valori culturali: basti pensare all’uso della punizione fisica nella privacy familiare. Ma se cause facilitanti la violenza dei minori (concause) possono essere le difficili condizioni di vita della famiglia (povertà, emarginazione, solitudine) e/o cause psicologiche (frustrazioni personali, immaturità, ecc…), da vari studi emerge che la “vera causa” sia il fatto che il genitore, che maltratta il figlio, abbia avuto nella propria infanzia tristi esperienze di abuso o di trascuratezza (MORO A.C., Erode fra noi, Mursia, Milano p. 32).
36. Resta solo da aggiungere che se il comportamento incestuoso non è primario, ma conseguente manifestazione di una forma di psicopatologia maggiore, a questa andrà volta l’attenzione ai fini dell’accertamento circa la validità del matrimonio dell’incestuoso.
37. Ai fini della valutazione della gravità della patologia, il giudice dovrà essere coadiuvato dal perito, il quale dovrà effettuare con chiarezza una diagnosi e, con obiettività e logicità, dovrà fornire le proprie conclusioni in merito a quanto a lui richiesto dallo stesso giudice (cfr. in particolare, R.R.D., c. Bruno, 23 febbraio 1990, vol. LXXXII, pp. 142 e 143; c. Faltin, 4 marzo 1992, in Monitor ecclesiasticus, 1994, vol. IV, p. 498). In particolare, nel caso di patologie gravi inerenti la “fornitura della cura” ai figli nel matrimonio da parte dei genitori, ai periti spetta precisare anche il loro peso sulla capacità di assumere le obbligazioni matrimoniali da parte di chi ne è affetto, tenendo presente che “la valutazione circa la nullità del matrimonio spetta unicamente al giudice. Il compito del perito è soltanto quello di prestare gli elementi riguardanti la sua specifica competenza, e cioè la natura e il grado delle realtà psichiche e psichiatriche a motivo delle quali è stata accusata la nullità del matrimonio. Infatti, il Codice ai cann. 1574-1579 esige espressamente dal giudice che valuti criticamente le perizie (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota romana, 6 febbraio 1987, in Communicationes, vol. XIX, 1, 1987, p. 7)” (cfr. PALESTRO V., Le perizie, in AA.VV., I mezzi di prova nelle cause matrimoniali secondo la giurisprudenza rotale, Città del Vaticano 1995, p. 87; vd. anche POMPEDDA M.F., Studi di diritto matrimoniale…, op. cit., p. 490).
In Fatto
38. Il Collegio, letti gli atti di causa, ha raggiunto la piena certezza morale per accogliere le richieste presentate dalla parte attrice in relazione ad entrambi i capi di nullità accusati e considerare il matrimonio in oggetto nullo sia per errore della parte attrice sulla persona del convenuto che per l’incapacità di questi a sostenere gli oneri coniugali. La gravità dei fatti che hanno caratterizzato la triste vicenda di cui dobbiamo occuparci ci ha permesso di approfondire meglio il dettato del canone relativo alla previsione della nullità del matrimonio per errore di persona da parte di uno dei nubendi in relazione alla persona dell’altro. Di fatto, nella presente causa, abbiamo tutti gli elementi per poter affermare che l’attrice ha sposato un uomo completamente diverso da quello che aveva conosciuto nel fidanzamento e che, se avesse saputo a cosa sarebbe andata incontro nello sposarlo, sicuramente non lo avrebbe mai fatto. Non vi fu, infatti, da parte dell’attrice né una cognitio, né una aestimatio, né quindi una vera selectio riguardo al convenuto che non diede minimamente a conoscere la vera indole della sua persona. Ci troviamo, nel caso di specie, pienamente nel caso dell’errore sostanziale da parte dell’attrice nella persona del convenuto in quanto l’identità del convenuto va considerata in armonia con la struttura e le finalità proprie del matrimonio che l’attrice desiderava realizzare, come abbiamo visto nella parte in diritto, e che di fatto non ha potuto assolutamente realizzare a motivo della profonda alterazione qualitativa che intaccava l’ontologia essenziale dello stesso convenuto e che determinò in lei l’errore sulla persona del convenuto stesso. E’ evidente, infatti, da quanto emerge dagli atti che la grave situazione di un padre incestuoso – secondo l’oggettivo sentire umano – non risponde assolutamente alla natura essenziale del connubio ed è assolutamente preclusiva delle sue finalità etico-giuridiche essenziali rendendone anche impossibile l’assunzione-realizzazione sì che il convenuto è risultato non essere assolutamente la persona fonte dei diritti-doveri specifici del matrimonio che la parte attrice era desiderosa di contrarre. Risulta chiaro, quindi, che nella parte attrice, come in tutti coloro che vanno al matrimonio, vi era una voluntas implicita nel non volere sposare un uomo portatore di tendenze incestuose che certamente determinano l’essere completamente diverso del coniuge desiderato e quindi il chiaro errore di persona. Nessuno mai, infatti, coscientemente sposerebbe una persona affetta da una particolare patologia che non le permetta di realizzare il minimum del dovere educativo nei confronti della prole e che, anzi, tende patologicamente alle sevizie, ai maltrattamenti, ad abusare sessualmente dei propri figli. E che la parte attrice, prima del matrimonio, non avesse mai sospettato minimamente che il convenuto potesse essere persona completamente diversa da quella che in realtà si mostrò essere, risulta evidente da quanto dalla stessa dichiarato e, in particolare, allorchè asserisce: Ci conoscemmo sulla spiaggia, cominciammo a uscire insieme e così nell’agosto del 1990 ci considerammo fidanzati tra noi. Dopo qualche tempo, quasi subito, abbiamo anche ufficializzato il nostro fidanzamento; mia madre non fu tanto contenta che ci mettessimo insieme in quanto il padre di Y è di colore e mia madre ebbe difficoltà ad accettare la cosa. In tutto il nostro fidanzamento è durato circa un anno e mezzo. Il nostro fu un fidanzamento molto tranquillo e sereno; non abbiamo mai litigato né mai ci siamo lasciati. Eravamo entrambi innamorati l’uno dell’altra; fui io a parlare per prima di matrimonio ma lui non voleva perché avrebbe preferito fare solo una convivenza in quanto non credeva nel matrimonio religioso e non voleva sposare in chiesa perché per lui era solo un apparato esterno di cui si poteva anche fare a meno. Lui era battezzato ma non credeva nella chiesa e nei sacramenti; fui io a insistere per sposarlo in chiesa in quanto io non accettavo la convivenza. Comunque lui mi diceva che mi amava e che mi avrebbe amata per tutta la vita e quindi si sarebbe comunque legato a me per sempre anche senza bisogno di andare in chiesa; io comunque volli la celebrazione in chiesa e alla fine lui accettò. Lui prima del matrimonio non mi ha mai detto che non voleva avere figli; di fatto me lo disse solo dopo sposati ossia che lui, per almeno due anni, non voleva mettere al mondo figli ed io dovetti accettare la cosa … Che io sappia lui prima di sposare non ha mai sofferto di alcuna malattia psichica; che io sappia non è mai stato ricoverato in ospedale né mai ha fatto uso di psicofarmaci (Sommario, pag. 52)… Nel fidanzamento lui ha sempre manifestato grande affetto e dolcezza nei miei confronti. Io all’epoca non avrei mai potuto sospettare né immaginare che lui potesse arrivare a quanto le ho raccontato. Ovviamente non so dirle in lui quando cominciò la tendenza deviata della pedofilia se prima o dopo il matrimonio. Io posso solo dirle che quando ebbi le confidenze da mia figlia degli abusi che aveva subito non volli vedere più Y e chiesi agli assistenti sociali di iniziare il procedimento penale. Oggi sono convinta di aver sposato un mostro ma quando lo sposai non mi ero resa conto di nulla e, per questo, chiedo che il mio matrimonio sia dichiarato nullo per errore di persona (Sommario, pag. 54).
39. E che la parte attrice, prima del matrimonio, credesse conoscere bene l’indole del convenuto e la sua persona ci viene confermato da non pochi testi i quali riferiscono che, prima di sposare, non avrebbero mai potuto immaginare quale fosse la vera persona del convenuto. In particolare abbiamo le testimonianze di A, cugina della parte attrice: Che io ricordi i due sono stati fidanzati un paio di anni. Il loro è stato sempre un fidanzamento molto sereno e si vedeva che si volevano bene ed erano innamorati reciprocamente; non si sono mai lasciati perché non c’erano motivi di litigi tra loro. Fu X a cominciare a parlare di matrimonio perché era suo forte desiderio sposare. Y all’inizio non accettò la proposta di matrimonio e avrebbe preferito convivere in quanto mi sembra che lui non era cattolico e non condivideva il matrimonio cristiano ma tante cose in merito non le so. X gli disse che non era possibile la sola convivenza e quindi anche lui si decise per il matrimonio in chiesa. X aveva intenzione di fare famiglia e avere figli; lui non so perché con lui non parlavo molto. Prima di sposare non mi risulta che Y abbia mai sofferto di malattie mentali e non ha mai fatto stranezze che potessero far sospettare una sua patologia. So soltanto che dopo un paio di anni di matrimonio lui cominciò a bere e ad avere problemi di pressione arteriosa. Non mi risultano altre malattie di Y dopo il matrimonio. Non ebbi mai da nessuno dei due alcuna confidenza in relazione alla loro vita sessuale né prima né dopo il matrimonio (Sommario, pag. 127); da B, cugina della parte attrice: Il loro fidanzamento è durato qualche anno ma non so dirle con precisione quanti. Il loro è stato un fidanzamento normalissimo come quello di tante altre coppie; li vedevo molto innamorati tra loro e non mi risulta si siano mai lasciati. Non so chi dei due cominciò a parlare di matrimonio. Non ebbi molte confidenze a riguardo dai due prima che si sposassero. Non mi risulta che Y, prima di sposare, abbia sofferto di malattie mentali. Nemmeno dopo sposato mi risulta che Y abbia sofferto di malattie mentali particolari (Sommario, pag. 130); solo il teste C, madre della parte attrice, riferisce che, prima del matrimonio, ebbe una chiara sensazione in relazione al fatto che il convenuto celasse la sua vera personalità e natura e provò anche a riferire quella che era soltanto una sensazione alla figlia: Che io ricordi il loro fidanzamento è durato circa un anno; a me non piaceva Y perché appena conobbe mia figlia già voleva convivere. Io non lo permisi e, dopo qualche tempo, mia figlia mi disse che voleva sposarsi e dovette convincere Y a farlo in chiesa perché lui non voleva. Ricordo che mia figlia era molto innamorata di lui e tra loro le cose andavano bene. Fui contenta quando mia figlia mi disse che era riuscita a convincere Y a sposarla in chiesa; io non avrei mai permesso la sola convivenza. Tenga presente che Y era una persona molto falsa ed io me ne accorsi chiaramente; vedevo che lui nascondeva qualcosa ma non si riusciva a capire cosa. Io provai varie volte a dire questa cosa a mia figlia me lei non mi ha mai voluto ascoltare. Non so se Y avesse qualche malattia mentale ma lo vedevo molto strano. Non so se dopo sposato Y abbia sofferto di malattie mentali particolari. So che aveva problemi di pressione ma non so da cosa erano causati questi problemi (Sommario, pag. 133).
40. Inoltre ricordiamo, come messo in evidenza nella parte in diritto, che per esserci un errore di persona bisogna verificare se la qualità, che si afferma non essere stata conosciuta al momento delle nozze, è una qualità sostanziale in quanto, secondo la generale convinzione degli uomini in un determinato contesto socio‑culturale, essa fa parte della struttura essenziale della persona e tocca il concetto stesso di persona integrale, per cui l’errore sulla qualità della persona, che appare sostanzialmente diversa da quella che è realmente, è di fatto error circa substantiam personae in relazione al suo ruolo di coniuge e futuro genitore. E che sia questo il caso che ci occupa è di chiara evidenza a motivo della grave patologia di cui era portatore il convenuto in causa che, nata la figlia, iniziò ad abusare sessualmente della stessa fin dalla tenerissima età di tre anni della stessa. La parte attrice non poteva sapere che il convenuto all’epoca del matrimonio avesse una tale patologia e nessuno mai sposerebbe una persona del genere.
41. Infine la parte attrice, che già si era allontanata dal convenuto per altri motivi, allorchè cominciò a rendersi conto che il convenuto aveva abusato sessualmente della figlia volle immediatamente formalizzare la separazione e non avere più nulla a che fare con il convenuto che si era rivelato persona completamente diversa da quella che lei presumeva fosse nel fidanzamento. E’ la stessa parte attrice che riferisce la sua reazione di profondo sdegno ed amarezza allorchè la piccola M cominciò a raccontarle degli abusi subiti dal padre: Di fatto la nostra convivenza divenne insostenibile e lui nel giugno 2004 se ne andò via di casa. Nel luglio del 2004 mia figlia M, che aveva solo quattro anni, mi disse che il padre l’aveva obbligata ad avere rapporti orali con lui, che aveva preteso che lo baciasse sulla bocca e altre cose del genere. Io inorridii e fui così costretta a portare M da una psicologa, dr.ssa D, che seguì la bambina e me per un paio di anni e poi da un’altra psicologa, dr.ssa E,, e nel corso delle varie sedute vennero fuori altre cose. Con l’aiuto delle psicologhe abbiamo datato l’inizio delle molestie da parte di Y alla piccola M nel 2003 ossia quando la bambina aveva solo tre anni. Inoltre M ha riferito che lui la minacciava e l’obbligava a non dire nulla, specie ai medici perché altrimenti, le diceva, avrebbe fatto del male a me. Fu così che la psicologa avvisò gli assistenti sociali che denunciarono gli abusi alla procura della Repubblica che ha aperto una indagine ed ha condannato Y a dieci anni e sei mesi di reclusione per pedofilia. Nel fidanzamento lui ha sempre manifestato grande affetto e dolcezza nei miei confronti. Io all’epoca non avrei mai potuto sospettare né immaginare che lui potesse arrivare a quanto le ho raccontato. Ovviamente non so dirle in lui quando cominciò la tendenza deviata della pedofilia se prima o dopo il matrimonio. Io posso solo dirle che quando ebbi le confidenze da mia figlia degli abusi che aveva subito non volli vedere più Y e chiesi agli assistenti sociali di iniziare il procedimento penale. Oggi sono convinta di aver sposato un mostro ma quando lo sposai non mi ero resa conto di nulla e, per questo, chiedo che il mio matrimonio sia dichiarato nullo per errore di persona (Sommario, pagg. 53-54). La reazione della parte attrice allo scoprire la verità dell’incesto perpetrato sulla figlia da parte del convenuto viene confermata da tutti i testi ascoltati che riferiscono che ella non volle mai più avere a che fare con il convenuto.
42. E che il convenuto fosse gravemente incapace a sostenere gli oneri del matrimonio già da prima del matrimonio per la gravissima patologia che lo portò ad abusare sessualmente della figlia alla tenera età di due o tre anni ci viene chiaramente illustrato dal perito di ufficio, dr. Giuseppe PASTORE, che ha scritto: Abbiamo potuto formulare un’ipotesi diagnostica soltanto dalla lettura degli atti, in virtù dell assenza del convenuto alle operazioni peritali, che comunque può essere sufficiente a formulare un’ipotesi diagnostica alla luce della gravità dei fatti e della indubbia veridicità delle affermazioni ivi contenute, trattandosi di atti processuali e di sentenze penali. All’epoca della conoscenza con X e successivamente del fidanzamento il convenuto non lasciava trapelare segni che direttamente o indirettamente lasciassero intravedere le gravi devianze sessuali che ha manifestato in seguito. Subito dopo il matrimonio il convenuto ha manifestato segni di disinteresse rispetto alla sessualità coniugale, che si sono aggiunte all’abitudine alcoolica, a segni di violenza domestica ed infine sfociati nei gravi atti di pedofilia incestuosa ai danni della propria figlia, che lo hanno portato alla condanna penale e alla perdita della patria potestà … E’ certamente possibile dedurre dagli atti, già all’epoca del matrimonio, la presenza di disturbi inerenti alla sfera sessuale del convenuto, come dimostrano le testimonianze della parte attrice relative allo scarso interesse del convenuto per la vita sessuale coniugale, in contrapposizione ad un interesse quasi compulsivo per il sesso telematico e le relazioni extraconiugali. I disturbi sessuali da cui risultava affetto il convenuto durante il matrimonio sono di estrema gravità e sfociano in ultima istanza negli atti di pedofilia incestuosa ai danni della propria figlia. Disturbi di questo tipo, come la pedofilia, in genere derivano da abusi subiti in età infantili, il convenuto nasconde bene i probabili abusi che deve aver subito da bambino, però è verosimile che questi disturbi fossero già presenti durante il periodo del fidanzamento, che però la parte attrice riferisce come un periodo abbastanza sereno e felice, si ricorda che tuttavia tale periodo è durato circa un anno, un periodo di tempo abbastanza limitato … L’influsso della situazione diagnostica del convenuto sulle capacità di comprensione critica del periziando era determinante e negativo. Lo stesso dicasi sulla capacità di instaurare relazioni interpersonali e sulla sua capacità di autodeterminazione, specificamente in relazione a scelte impegnative esistenzialmente, moralmente e giuridicamente, come proprio quella del matrimonio, dal momento che la parte convenuta si sarebbe accontentata di una semplice convivenza (Sommario, pagg. 161-162)… Il noto disturbo psichico del convenuto ha inciso in maniera determinante e negativamente sulla formazione dell’atto di volontà ed altresì sulla capacità di porre in essere una sana relazione interpersonale con la parte attrice, come è facilmente intuibile da quando fin qui detto … Il convenuto non era capace di assumere gli obblighi matrimoniali, come molti comportamenti lasciano intuire, in particolare la scarsa volontà di contrarre matrimonio, la scarsa e problematica vita sessuale coniugale in contrapposizione ad una tendenza a cercare rapporti extraconiugali e sesso telematico, gli abusi sessuali ai danni della propria figlia minorenne, il totale disinteresse alla vita della figlia in seguito all’abbandono del tetto coniugale da parte del convenuto (pagò un solo assegno di mantenimento) relativo al giugno 2004… Gli influssi della situazione psicologica … sulle attitudini della vita coniugale erano negativi e risultano evidentemente preclusi gli obblighi e la funzione di marito e di padre da detta situazione psicologica (Sommario, pag. 163). E, sempre il perito di ufficio, nella sua disamina psico-diagnostica della personalità del convenuto ha precisato: Dall’esame degli atti, in particolar modo relativamente al vissuto proiettivo della piccola M, è possibile per sommi capi, delineare un quadro generico relativo alla personalità di Y. I fatti gravissimi, di cui è stato riconosciuto penalmente responsabile Y, delineano il quadro di una personalità con profondo disagio ed un’alterazione della struttura psico-sessuale (Sommario, pag. 153)… Inoltre la testimonianza resa dalla dr.ssa E, psicologa, che ha preso in carico insieme alla dr.ssa D (che l’ha preceduta), presso codesto rev.mo Tribunale indica che la possibilità che il convenuto sia stato a sua volta vittima di abusi in età infantile. La letteratura scientifica internazionale a riguardo infatti sottolinea come generalmente chi si rende colpevole di reati di natura sessuale, in particolare su minori, nella stragrande maggioranza dei casi siano stati a loro volta vittime di abusi… Anche da questo punto di vista emergono aspetti di abbandono, infatti dal giugno 2004, (periodo in cui, in seguito a litigio, il convenuto abbandona la casa e la sua famiglia) non ha cercato più la figlia, né ha ottemperato agli impegni economici nei confronti della figlia, ai quali era stato obbligato dal tribunale dei minori. Infatti ha pagato gli alimenti alla moglie e alla figlia regolarmente per il solo mese di giugno 2004. La vita sessuale coniugale risultava problematica e quasi assente, come si evince dalle varie testimonianze, sia in sede di tribunale ordinario (civile e penale), sia in sede di rev.mo tribunale ecclesiastico. Durante il matrimonio prima che la piccola M nascesse, il convenuto è stato più volte scoperto a frequentare siti di pornografia telematica. Questa incapacità a vivere una sessualità coniugale risolta, unitamente a una voracità nel cercare di vivere relazioni telematiche (chattava con altre donne), denotano un profilo sessuale e psicoaffettivo immaturo, inesistente ed una incapacità a vivere una relazione reale, preferendo a quest’ultima una dimensione virtuale, nella quale si riesce a gestire meglio il profilo di angoscia che potrebbe derivare da una relazione adulta tra uomo e donna. Emerge da quanto detto, un profilo di immaturità molto evidente e distinto, immaturità psico-affettiva e, conseguentemente, sessuale che il convenuto riesce a dissimulare bene nel periodo di fidanzamento e nei primi anni di matrimonio, ma che poi esplode in tutta la sua drammaticità in seguito alla nascita della figlia M. Anche se è possibile supporre che alla base di questa devianza vi siano dei traumi e dei vissuti infantili di abuso, come abbiamo appena detto, non sappiamo e non conosciamo nei dettagli l’origine di questa devianza … Che vi siano poi stati questi fatti e questi comportamenti è cosa acclarata ed accertata oltre ogni ragionevole dubbio, come dimostrano gli atti del processo civile e penale. La sessualità del convenuto presenta delle ferite profondissime che lo hanno spinto e lo spingono non solo a negare la presenza di un problema ma altresì a risolvere in un ambito di incesto e di omertà (il convenuto non voleva che M fosse visitata dai medici o che frequentasse altri bambini in quanto non erano degni di M) queste gravi problematiche. La figlia M ha rappresentato per il padre l’oggetto sul quale riverberare in questo comportamento auto ed etero lesivo. Verosimilmente M ha rappresentato per il padre un oggetto di auto proiezione di un vissuto di abuso subito da egli stesso durante la sua infanzia (Sommario, pagg. 154-155) … Il convenuto è consapevole nel momento in cui abusa della figlia della gravità del proprio gesto … In questo dimostra una profonda irresponsabilità ed incapacità di mantenere gli obblighi familiari, di prendersi cura di se e dei membri della sua famiglia … Vi sono delle gravissime turbe psico-affettive e del comportamento sessuale che, alla luce di quanto esposto sopra, precedono di gran lunga il matrimonio con la sig. ra X. Egli non riconosce dignità di soggetto alla propria figlia, ma in lei vede semplicemente una proiezione del suo Io bambino, abusato, sedotto, verosimilmente sodomizzato (la bambina a un certo punto del percorso psicoterapico confessa alla dr.ssa E di aver subito una penetrazione anale da parte del padre). Attraverso l’incesto e l’abuso sessuale nei confronti della figlia questa parte abusata del sé si illude di potersi riappropriare di una propria dignità. Questo possibile e probabile evento traumatico occorso durante l’infanzia del convenuto gli ha evidentemente impedito di mettere in atto dei meccanismi di riparazione, molto probabilmente perché il suo ambiete familiare di origine non era in grado di farsi carico di questa problematicità, forse perché tutto è avvenuto, a sua volta, nel medesimo ambito familiare. Il convenuto deve aver messo in atto quindi dei meccanismi di riparazione del sé deviati che lo hanno portato, a sua volta, solo in ultima istanza ad abusare della propria figlia, ma prima ancora ad impedirgli di sviluppare una sessualità sana, come dimostra la difficile vita intima coniugale e la compulsione a cercare la pornografia telematica e/o rapporti extraconiugali … Egli non ha mai vissuto il rapporto marito-moglie in maniera autentica e matura, facendo mancare un’intimità affettiva e sessuale genuina e matura al rapporto matrimoniale per l’incapacità di comprendere il senso profondo del legame matrimoniale e la paura di essere “scoperto” dalla moglie … Il processo civile di separazione e il processo penale e civile per pedofilia hanno ampiamente dimostrato la presenza di gravissime turbe nel comportamento sessuale del convenuto che hanno determinato una condanna penale del medesimo alla reclusione carceraria e alla perdita della patria potestà. Questi disturbi, pur non emergendo ai tempi del fidanzamento e del matrimonio con X, esplodono, in tutta la loro drammatica evidenza, dopo la nascita di M. Ovviamente ex post si evince la trama della devianza già da prima: in particolar modo considerando le difficoltà della vita intima coniugale e la tendenza del convenuto a frequentare siti internet porno e ad intrattenere relazioni extraconiugali. Infine la letteratura scientifica internazionale è concorde nel ritenere che i soggetti che si macchiano di abusi sessuali sui minori sono, nella quasi totalità dei casi, stati vittime di abusi nel proprio trascorso infantile (Sommario, pagg. 156-157) … Traumi così gravi impediscono lo sviluppo nel corso della vita adolescenziale prima ed adulta poi di una sessualità sana, ma pongono in essere dei meccanismi di difesa deviati che portano queste vittime a trasformarsi in carnefici, a meno che questi soggetti non vengano presi in cura in tempo, cosa molto difficile per non dire impossibile, dal momento che nella stragrande maggioranza dei casi, gli abusi avvengono nel contesto familiare e vengono tenuti segreti a causa di meccanismi più o meno latenti di omertà familiare (Sommario, pagg. 158- 159).
43. Quanto affermato dal perito di ufficio viene anche confermato da altro specialista ascoltato in corso di giudizio che intervenne allorchè la piccola M cominciò a riferire degli abusi subiti. La dr.ssa E dichiara: Ho cominciato ad occuparmi della questione nel 2005. In precedenza la minore M, figlia di X e Y, era stata seguita dalla dr.ssa D in quanto in quel periodo c’era presso la nostra ASL il progetto “abuso e maltrattamento” ed era la D ad occuparsi di questi casi. Ricordo che furono loro a fare, insieme a X, la segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di quanto era accaduto. X si era resa conto nel 2004 che la figlia M aveva alcuni comportamenti anomali ossia era inappetente, angosciata nel sonno, non voleva farsi visitare dal pediatra. Lentamente la bambina cominciò a confidare alla madre che aveva avuto rapporti sessuali con il padre; la bambina disse che il padre le dava il suo pisello in bocca per cui lei non voleva più mangiare i piselli. Fu così che X venne al consultorio e all’inizio fu seguita dalla dr.ssa D e poi passò la pratica a me che dal settembre 2005 cominciai a seguire la bambina. Confermo tutti gli abusi commessi dal padre sulla minore la quale, in stato di angoscia, mi diceva che le faceva schifo il sapore della pipì del padre e che il padre la costringeva ad ingoiarla. Mi disse anche che il padre l’aveva penetrata nell’ano e cominciò a riferirmi tutte le mostruosità commesse dal padre su di lei. Tenga presente che gli abusi del padre sulla bambina iniziano quando la bambina aveva appena tre anni ossia nel 2003… In base alle mie conoscenze posso dirle che Y era sicuramente portatore di una patologia psicosessuale di tipo grave; probabilmente anche a Y saranno capitate, in epoca infantile, abusi del genere per cui li ha ripetuti con la propria figlia M. Tenga presente che queste sono patologie che si radicano all’interno della persona quando si è bambini e si vanno sviluppando nell’età adulta quindi è molto probabile che Y avesse in se esperienze negative di abusi che poi ha trasmesso alla propria figlia. Le ripeto, però, che io non ho mai parlato con Y (Sommario, pagg. 138-139).
44. Non possiamo dubitare circa la veridicità dei fatti accaduti e siamo certi del manifestarsi della chiara e grave patologia del convenuto in costanza di matrimonio a motivo delle prove raccolte in particolare dalle dichiarazioni dei testimoni e dagli atti dei procedimenti penali a carico del convenuto. E’ nostro dovere riportare in sentenza tali fatti così da fugare ogni dubbio in merito alla vicenda di cui è causa specie in relazione a quanto detto, sempre nella parte in diritto, in riferimento alla P.A.S. che spesso porta il coniuge ad “esagerare” nel riferire i fatti riguardanti la condotta scorretta dell’altro verso i figli per ottenerne l’affidamento. Nel caso di specie non siamo affatto di fronte ad esagerazioni della parte attrice dettate da P.A.S. anzi la realtà supera ogni possibilità di immaginazione e siamo certi che i fatti si sono verificati così come detto dalla parte attrice che ha riferito innanzi tutto di una vita intima coniugale molto problematica con il convenuto e poi degli orrendi abusi da questi perpetrati sulla piccola M: Dopo un paio di anni dal matrimonio lui cominciò a soffrire di una certa ansia immotivata e andava in ospedale per verificare cosa avesse ma non gli hanno mai trovato alcuna patologia specifica. Di fatto ha continuato, per tutto il tempo del matrimonio, a soffrire di stati di ansia ma che non ha mai curato in modo specifico né mai è voluto andare da uno specialista. Inoltre tenga presente che, dopo sposati, lui non è stato mai normale da un punto di vista sessuale. Cercava sempre di evitare il rapporto intimo e mi chiedeva sempre di avere rapporti orali; non aveva problemi di impotenza, né sentiva dolore nelle intimità ma non aveva desiderio sessuale per cui la nostra vita intima fu sempre molto deludente. Noi potevamo avere un paio di intimità al mese al massimo all’inizio del nostro matrimonio; come le ho detto i primi due anni, inoltre, lui ha sempre interrotto i rari rapporti intimi, proprio perché non voleva correre rischi di avere un figlio. Dopo due anni di vita coniugale riuscii a convincerlo ad avere un rapporto intimo completo e, in seguito a detto unico rapporto, io uscii incinta di due gemelli che però persi per un aborto spontaneo dopo tre mesi. Dopo questo fatto passò un anno all’incirca in cui non avemmo proprio intimità e poi provammo a riprenderle. Io ero molto spaventata che potessi avere un altro aborto per cui, per cinque anni, gli chiesi di interrompere i rari rapporti che avevamo; infatti ora avevamo intimità, sempre con le solite difficoltà, solo una volta al mese o ogni due mesi. Come le dicevo, dopo cinque anni, volli provare a uscire incinta e, nuovamente, dopo un mese che aprimmo il nostro rapporto mensile alla prole uscii incinta ed il omissis 2000 nacque M. Nata la bambina avemmo maggiori difficoltà da un punto di vista sessuale e le nostre intimità divennero ancora più rare, forse una volta ogni quattro mesi, proprio perché lui non aveva alcun desiderio sessuale nei miei confronti. Intanto continuavano i suoi problemi di ansia per cui aveva continue tachicardie, pressione alta, ma lui non ha mai voluto farsi vedere da un medico. Lui aveva un cognato che faceva l’infermiere al Cardarelli ed un altro cognato che era cardiologo per cui andava da loro a farsi vedere. Tra noi aumentarono le incomprensioni e i litigi. Dopo la nascita della bambina lui passava intere notti davanti al computer e scoprii che vedeva siti porno e chattava con donne. Io mi accorsi di questo fatto e lui fu costretto a riconoscere la verità ossia che aveva relazioni virtuali con altre donne, non so se ne aveva anche reali (Sommario, pagg. 53-54) … Andammo a vivere in una casa in affitto e le ho già raccontato come sono andate le cose. All’inizio, a parte le problematiche sessuali di cui le ho parlato, le cose andarono bene perché ci volevamo bene. Come le ho detto dopo un paio di anni cominciarono i suoi disturbi di ansia forse causati anche dal fatto che io cominciai a pretendere avere un figlio. Di fatto quei disturbi di ansia e le difficoltà nelle intimità hanno poi caratterizzato tutto l’arco della nostra lunga convivenza coniugale durata dodici anni. Tenga presente, però, che lui non si è mai interessato dell’andamento della casa, della gestione della stessa, non ha mai pagato una bolletta. Lui era distrattissimo in tutte queste cose, non si prendeva cura di nulla. Ha sempre lavorato e non mi risulta abbia mai avuto problemi sul lavoro; lui faceva il grafico pubblicitario. Di fatto le cose tra noi andarono peggiorando sempre più dopo la nascita della bambina; le ho detto che cominciò a stare sempre al computer, a tradirmi con altre donne e poi a molestare nostra figlia. Fu lui a un certo punto ad andarsene di casa dicendomi che non voleva stare più con me; fece la valigia e se ne andò. Le ripeto che, dopo sposato, non si è mai fatto visitare da alcun medico tranne che dal cognato. Libero dal segreto professionale tutti i medici e gli psicologi che hanno avuto in cura me e la bambina che oggi ha undici anni … Faccio questa causa per avere un po’ di chiarezza nella mia vita e perché ritengo di aver sposato un uomo completamente diverso da quello che amavo in realtà. Y non so con chi vive (Sommario, pagg. 55-56).
45. Tutto quanto detto in merito alla dramamtica scoperta degli abusi riferiti dalla parte attrice viene puntualmente confermato dai testi ascoltati e, in particolare, abbiamo le chiare testimonianze di A, cugina della parte attrice: Ricordo solo che dopo un paio di anni di matrimonio X cominciò a dire che voleva un figlio e rimase incinta ma ebbe un aborto spontaneo. Passarono non pochi anni e uscì incinta nuovamente ed ebbero una figlia. Non so dirle questa figlia se sia stata voluta fortemente anche da Y; sicuramente X l’ha desiderata molto. Dopo il matrimonio non so se lui ebbe ricoveri in ospedale o cose del genere; io lo vedevo sereno. Non ho frequentato molto la coppia e i due nel 2004 si separarono per iniziativa di Y. Io presi con me la figlia M e cominciai a notare che cercava di fare cose strane; mi chiedeva di baciarla in bocca con la lingua, voleva giocare al dottore tutta nuda come faceva con il padre e altre cose del genere per cui dissi questa cosa a X la quale mi confidò che la figlia le aveva già rivelato che il padre l’aveva costretta ad avere intimità sessuali con lui e che ne era rimasta fortemente traumatizzata. So che intervennero gli assistenti sociali. Io sono certa che X, quando si fidanzò con Y, non pensò mai che questi potesse essere un pedofilo altrimenti non se lo sarebbe mai sposato … Dopo sposati sono stati insieme dodici anni. Io non ho mai sospettato nulla di particolare nella loro relazione di coppia e li vedevo abbastanza tranquilli e sereni. Sapevo che erano desiderosi di avere un figlio e delle difficoltà avute da X; sapevo anche che lui a volte aveva solo dei picchi di pressione per cui doveva curarsi ma nulla di particolare. Quando i due si lasciarono io rimasi molto meravigliata e non mi sarei mai aspettata che i due si lasciassero. Quando poi venne fuori la storia della pedofilia io ci rimasi malissimo e non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere. Non ho mai avuto altre confidenze circa la vita intima dei due. Non ho avuto altre confidenze in relazione allo stato di salute di Y dopo il matrimonio e non so se abbia sofferto di malattie mentali. Certamente non stava bene per quel che ha fatto alla figlia (Sommario, pagg. 127-128); di B, cugina della parte attrice: So soltanto che, dopo separati, X mi confidò che la figlia minore le aveva riferito che il padre aveva abusato di lei, che le mostrava i genitali e che la baciava in modo non naturale. Altro non so a riguardo … I due sono stati insieme per una dozzina di anni. Le cose tra loro sembrava che andavano bene e li ho sempre visti molto affiatati, sempre insieme e normali. So che entrambi volevano figli e X ebbe prima una gravidanza di due gemelli ed abortì e poi, a distanza di anni, ebbe M. Non so dirle nulla in relazione alla loro vita sessuale se avevano problemi o meno. Non mi risulta che Y abbia avuto problemi di malattie mentali o cose del genere. Ho sempre visto Y una persona normale. Quando i due si sono separati la cosa mi meravigliò perché non avrei mai pensato che le cose tra loro non andavano bene. So soltanto che Y se ne andò e che i due si separarono. Poi, dopo qualche tempo, X mi raccontò quello che era successo con la bambina. Y secondo me non è assolutamente normale per quanto ha fatto alla piccola figlia (Sommario, pag. 130); di C, madre della parte attrice: A un certo punto i due si separarono e dopo qualche tempo mia nipote, la piccola M, cominciò a dire che le mancava il papà e che lei era fidanzata con il papà e pretendeva che io la baciassi sulla bocca come faceva il padre. Fu così che io chiesi alla bambina che cosa faceva con il papà e lei mi disse che con il padre si mettevano tutti nudi e lui le dava il pisello in bocca e le faceva la pipì in faccia. Anche alla madre la piccola confidò che il padre aveva abusato di lei. Fu allora che intervennero gli psicologi e gli assistenti sociali e noi scoprimmo che il padre era pedofilo. Mia figlia non ha mai sospettato nulla in relazione alla pedofilia di Y; lo venne a sapere solo dopo che la bambina disse tutte quelle cose e solo allora mia figlia capì finalmente che aveva sposato un mostro. Le ripeto che io già da prima del matrimonio mi ero resa conto che Y aveva una doppia personalità e provai a dirlo anche con forza a mia figlia ma lei non volle mai credermi ed amava Y che con lei si manifestava sempre molto gentile e premuroso. Solo quando la figlia raccontò tutto lei si rese conto di essere stata ingannata e che Y in realtà era persona completamente diversa da quella che lei aveva conosciuto e che Y le aveva mostrato di essere … Dopo sposati sono stati insieme dodici anni. Le cose sembravano che andavano bene tra loro. Sembrava che tutto andasse bene tra loro anche se io non mi fidavo di Y. Dopo i primi anni provarono ad avere un figlio; lei uscì incinta ma abortì. Aspettarono altri anni e X uscì nuovamente incinta e così ebbero M. Non ebbi mai altre confidenze dirette da parte di mia figlia la quale però mi ha detto che la loro vita intima era molto scarsa e problematica. Non so se lui abbia sofferto di qualche malattia psichica dopo sposato. So soltanto che a un certo punto Y se ne andò di casa perché disse che non stava più bene con mia figlia. Fu così che i due si separarono e, solo dopo qualche tempo, venimmo a sapere le cose che le ho riferito circa la pedofilia e gli abusi sulla figlia da parte di Y. Y è una persona molto strana; secondo me era depresso e poi sessualmente è fortemente deviato per quel che ha fatto con la figlia. Tenga anche presente che lui beveva molto (Sommario, pagg. 133-134); di F, amica della parte attrice: Io sono stata amica di infanzia di X fino all’età di diciotto anni poi andai via dal palazzo dove abitavamo insieme per cui non l’ho più frequentata e l’ho rivista solo nel 2003. Del fidanzamento con Y non so dirle proprio nulla perché non ho frequentato la coppia. Non so dirle nulla in relazione al fatto se Y abbia mai sofferto di malattie mentali primo o dopo il matrimonio. So soltanto che Y nel 2004 se ne andò di casa ma non so dirle il motivo della loro separazione. Tenga presente che io ho una bambina che divenne amica di M, figlia di X e Y, e quindi M prese a venire a casa mia. Fu allora che M manifestò alcuni atteggiamenti molto strani per una bambina; andava in bagno si denudava e si toccava le parti intime, cercava di essere baciata sulla bocca. Cercai di parlare con la bambina che mi confidò che tutte queste cose lei le faceva con il papà il quale, mi disse, le faceva prendere il pisello in bocca e le faceva la pipì in faccia. Questa cosa mi diede non poco fastidio e ne volli parlare con X e lei mi confermò tutto questo. X mi ha detto che lei non aveva mai sospettato che Y potesse essere pedofilo. Non so se fecero corso di preparazione di matrimonio. Le ripeto che io rividi X solo nel 2003 e già in quel periodo le cose tra loro non andavano bene. So che lui beveva, che era sempre agitato ma non so di particolari malattie di cui soffrisse. Come le ho detto si separarono e dopo un po’ venne fuori l’orrore delle rivelazioni della piccola M. Sono stata anche testimone nel processo penale nei confronti di Y che fu condannato a dodici anni di reclusione che, però, non ha mai scontato. Non so dirle molto in relazione a Y perché non l’ho conosciuto direttamente ma, in base alle cose accadute, posso dire che è un malato di mente perché un padre che fa quelle cose alla figlia è una cosa inaccettabile (Sommario, pag.136).
46. E, come detto, oltre ai testimoni ascoltati abbiamo non pochi atti giudiziari di natura penale, che confermano gli abusi perpetrati dal convenuto sulla figlia minore e che confermano la veridicità di quanto affermato dalla parte attrice. In particolare, dai verbali del Tribunale dei Minori, si legge: Il collegio osserva che il parere formulato dal PMM merita di essere recepito. La procedura ex art. 336 c. c. veniva attivata dal PMM in seguito alla segnalazione della UOMI competente in data 12.7.04 su presunti abusi sessuali ai danni della minore ad opera del padre. Inoltre emergeva che lo stesso dopo la separazione di fatto dalla moglie non solo non versava il denaro per il sostentamento di M ma non chiedeva neanche di vederla. Con decreto del 9.11.04 questo TM prescriveva un percorso psicologico per la bambina e la madre e sospendeva le visite del padre nei confronti della figlia sino al completamento di tale percorso. La psicologa della UOMI all’udienza del 15.3.05 evidenzia che dai colloqui clinici emergevano segnali che la piccola M realmente avesse subito abusi sessuali dal padre … La relazione psicodiagnostica depositata in data 18.10.07 concludeva che i comportamenti sessualizzati di M e quanto emerso dai colloqui psicologici e dai test somministrati risultavano compatibili con un ipotesi di vittimizzazione sessuale. In data 13.7.07 Y veniva rinviato a giudizio dal Tribunale di Napoli per abusi sessuali commessi in danno della figlia. In ogni caso va chiarito che oggetto della valutazione del TM non è l’accertamento della responsabilità penali per fatti costituenti reato in danno dei figli, bensì la qualità della relazione parentale che, nella specie, risulta decisamente disfunzionale … La indiscutibile violazione da parte del padre dei doveri di cura, mantenimento, istruzione ed educazione della figlia induce la esclusione della podestà il cui esercizio non ha sino ad ora tenuto conto delle esigenze di crescita della minore, anzi ha cagionato seri danni al suo assetto psicofisico e rischia di inquinare il sereno sviluppo della sua personalità. Si ritiene opportuno dichiarare Y decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della figlia minore (Sommario, pagg. 22-23). E l’accertamento delle responsabilità del convenuto nel compiere le azioni delittuose è stato svolto dal II Tribunale penale Napoli, Sezione VII che, con sentenza, ha condannato il convenuto: A) per il reato di cui agli art. 81 cpv. 609 quater. 609 ter co. II cp, perché, con più azioni esecutive non di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, compiva atti sessuali consistenti in rapporti orali con la figlia M con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di una minore degli anni dieci; B) per il reato di cui all’art. 570 co. 2 co. 2 cp perché pur essendo tenuto in virtù di ordinanza ex art. 708 cpc emessa dal Tribunale di Napoli in data 27.4.2005, a versare la somma di euro 1000 mensili per mantenimento della moglie X e della figlia minorenne M ometteva il pagamento di qualsiasi somma di danaro (ad eccezione di due isolati versamenti di euro 600 ciascuno effettuati il 18 maggio e il 2 luglio 2005) facendo così mancare loro i mezzi di sussistenza; C) perché serbando una condotta contraria alla morale delle famiglie, omettendo di versare l’assegno di mantenimento stabilito dal Giudice Civile in sede di separazione per il mantenimento del coniuge separato non per sua colpa e dei figli minorenni, di cui si disinteressava completamente si sottraeva agli obblighi di assistenza e faceva mancare loro i necessari mezzi di sussistenza (Sommario, pagg. 24-25) e, in modo esteso e chiaro motivava nel dettaglio la decisione: X, madre della minore, precisa di essersi trasferita sin dall’anno 1999 con il marito presso l’abitazione della madre in Pozzuoli. Precisa che già prima della nascita della figlia, i rapporti col coniuge erano divenuti difficili, erano sorte incomprensioni anche di carattere sessuale tanto da indurla a dubitare della fedeltà dell’uomo nei suoi confronti. Riferiva che l’ex marito trascorreva molto tempo al computer anche durante le ore notturne, che spesso si collegava a siti porno e di essersi, poi, accorta che lo stesso aveva intrecciato una relazione extraconiugale con un’altra donna. La teste precisa di aver sopportato tutto ciò in quanto ancora innamorata del marito sino a quando essendo diventata tale situazione insostenibile, un giorno del mese di giugno 2004, dopo una violenta lite, nel corso della quale venne colpita sul naso da una testata, trascinata per i capelli e picchiata, l’uomo andò via di casa. La teste aggiungeva che la bambina, che non aveva mostrato alcun dispiacere per l’allontanamento del padre, sembrava serena e per nulla turbata dall’assenza del padre, una sera del mese di luglio 2004 mentre era seduta con lei sul divano chiedendo del padre le disse che voleva giocare con lui. Alla domanda su che gioco facesse col padre la piccola le disse “…giocavo con il pisello di papà, papà mi metteva il pisello in bocca” ed in un’altra occasione disse che il papà “le toccava la farfallina e gliela leccava”. Su sollecitazione del P.M., la teste riferiva ulteriori episodi relativi a comportamenti erotizzati della della piccola M quali ad es. baci sulla bocca che le dava riferendo che il padre glielo aveva insegnato “papà mi ha insegnato a fare questo. Non mi baciava sulla bocca come si baciano due amici ma mi baciava con la lingua”, o quando in una occasione si era avvicinata con il suo viso all’altezza dei genitali del padre; o ancora quando nell’aprire il comodino disse “sento la puzza del pisello di papà”. La teste, inoltre, ricordava due episodi specifici, uno avvenuto nel periodo di Natale allorquando giunse presso il bancone del pesce di un supermercato, la figlia le disse che sentiva l’odore “della piciocchina e del pisello” ed un altro quando a distanza di alcuni mesi dall’allontanamento del padre, giunse nei pressi del luogo dove aveva sede il suo ufficio la bambina chiedendo del papà disse “gli devo dire una cosa. Papà mi deve portare una sorpresa e gli devo dare un bacio sul pisello” … La teste precisa di essersi rivolta ai servizi sociali ed in particolare all’Unità Operativa Materno Infantile di Pozzuoli per cercare di capire cosa in realtà fosse accaduto e per essere aiutata; aggiungeva di aver effettuato insieme alla figlia numerose sedute psicodiagnostiche con la dr.ssa D e successivamente, con la dr.ssa E nel corso della quale ebbe la conferma degli abusi subiti da M (Sommario, pagg. 27-28) … La nonna materna della piccola M … Su sollecitazione del P.M., la teste riferiva di un episodio avvenuto nel novembre-dicembre 2004 allorquando la bambina irrequieta per l’assenza della madre nel sentire la favola della principessa sul pisello, cominciò a ridere dicendo “Si, il pisello di papà, anche papà ha il pisello…papà mi faceva la pipì in faccia, si papà il pisello me lo metteva in bocca. Diceva mastica, succhia e ingoia” aggiungeva che la bambina nel dire ciò cominciò a piangere. A tal riguardo aggiungeva inoltre la teste che la nipote rifiutava di mangiare pasta e piselli ed ancor oggi non vuole mangiarli. Riferiva inoltre di strani comportamenti tenuti dalla bambina che era solita baciare sulla bocca la madre; si sedeva sulla sua pancia a gambe aperte dicendo “nonna muoviti come faceva papà” mimando un gioco sessuale, voleva essere toccata nelle zone intime, diceva che era fidanzata con il papà, era innamorata del papà … Di estremo rilievo, anche in considerazione delle qualifiche rivestite e della particolare esperienza professionale nello specifico settore, sono state le deposizioni della dr.ssa D, psicologa e psicoterapeuta in servizio presso l’Unità Materna e Infantile di Pozzuoli e della dr.ssa E, psicologa presso il medesimo centro, che avevano avuto in terapia la piccola M, le quali hanno ricostruito, nel corso dell’esame dibattimentale, l’origine e lo sviluppo dei loro rapporti con la minore, le circostanze che avevano portato agli abusi subiti e le conclusioni psicodiagnostiche cui erano pervenute (Sommario, pagg. 30-31) … Rappresentando fatti e circostanze cadute sotto la sua diretta percezione. Le dichiarazioni della madre sono parse serene e prive di intenti calunniatori e pur comprensibili motivi di rancore nei confronti dell’ex coniuge … Nessun elemento è emerso dunque che possa anche soltanto far sospettare un tentativo di manipolazione della bambina basato su di un tentativo di vendetta ovvero di gelosia della X nei confronti del marito, il quale nel corso del suo esame dibattimentale, ha negato ogni addebito evidenziando, al contempo, problemi coniugali, liti ed insane gelosie della ex moglie … Quanto alla qualificazione dei fatti contestati rileva il Collegio che le condotte poste in essere dall’imputato nei confronti della figlia M di solo 4 anni rientrano, più correttamente nella previsione di cui all’art. 609 bis, e ter u.c. (Sommario, pagg. 32-33) e quindi concludeva con la condanna: Letti gli art. 533, 535 cpp dichiara Y colpevole dei reati ascrittigli e lo condanna per il reato di cui al capo A alla pena di anni 10 di reclusione e per il reato di cui all’art. 570 cp così come contestato dal maggio 2005 con condotta perdurante, alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa. Letti gli art. 70 e ss cp determina la complessiva pena di anni 10, mesi 6 di reclusione ed euro 200 di multa. Letto l’art. 609 nonies cp applica all’imputato Y le pene accessorie della perdita di potestà di genitore, della interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela, nonché della perdita del diritto agli alimenti, l’esclusione della successione della figlia M e l’interdizione perpetua di qualsiasi incarico nelle scuole o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Letto l’art. 29 cp applica all’imputato la pena accessoria dell’interdizione in perpetuo dai PP.UU. Letto l’art. 32 cp dichiara Y in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena. Condanna l’imputato al risarcimento dei danni in favore alla costituita parte civile in proprio e nella qualità esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore M, da liquidarsi in separato giudizio. Letti gli artt. 539 e 540 cpp condanna l’imputato al pagamento in favore della suddetta parte civile di una provvisionale immediatamente esecutiva che liquida all’attualità euro 25.000,00 (Sommario, pag. 36).
47. Emerge, quindi, con chiara evidenza che il convenuto non poteva assolutamente sostenere l’onere educativo della prole in quanto, a motivo della propria tendenza patologica all’incesto, era ben lungi dal poter trasmettere alla figlia gli elementi essenziali di tipo educativo anzi ne ha completamente snaturato lo sviluppo evolutivo. Il convenuto non ha minimamente potuto assolvere a quelli che, nella parte in diritto, abbiamo ricordato essere gli obblighi educativi essenziali ossia l’obbligo di tutelare il bonum physicum prolis e, più specificamente l’amore verso i figli, la cura della loro salute e del loro sviluppo corporale, l’educazione integrale. Egli non ha mai voluto bene la propria figlia anzi l’ha violentata e seviziata costringendola a pratiche animalesche all’età di soli tre anni e non ha mai pensato ad assicurare alla bambina uno sviluppo naturale del suo essere anzi ha mostruosamente violato l’intimità della stessa con pratiche sessuali perverse ed inumane. Nel caso in specie, quindi, non siamo soltanto dinanzi ad una semplice omissione di diritti educativi da parte del convenuto o di una patologia della fornitura delle cure ma nell’ambito gravissimo dell’incesto e del maltrattamento sessuale di minore che manifesta un elevatissimo grado di gravità della patologia psicosessuale nel convenuto che sicuramente, come ha affermato il perito, aveva in se tale male fin da prima del matrimonio e che si è poi manifestato in tutta la sua mostruosità e virulenza in costanza di matrimonio.
48. Nel caso che ci occupa, siamo dinanzi a fatti gravissimi di evidente perversione sessuale accaduti in modo ripetuto su una bambina di tre anni e, quindi, a poco tempo dalla stessa celebrazione delle nozze pertanto possiamo essere certi che il genitore incestuoso fosse, già da prima del matrimonio, affetto da questa grave patologia psicosessuale come ha anche riferito il patrono di parte attrice nel suo restrictus: Anche in perizia espletata sugli atti da perito di ufficio dott. Pastore, data l’assenza del convenuto ha attestato che la grave patologia psicossessuale che si è tradotta in atti nella pedofilia incestuosa di Y, è una patologia che si radica dall’adolescenza ed è stata tenuta nascosta durante il fidanzamento per riemergere dopo le nozze con la nascita della bambina. Tale grave patologia ha reso il convenuto incapace di sostenere gli oneri coniugali (Sommario, pag. 185) ed anche il nostro difensore del Vincolo che, nelle sue animadversiones, ha dichiarato con chiarezza: Dagli atti istruttori risulta di tutta evidenzia che il sig. Y, al momento di contrarre matrimonio non era in grado di assumersi con piena responsabilità i relativi impegni derivanti dal matrimonio, in quanto egli sin dall’epoca del fidanzamento presentava disturbi inerenti alla sfera sessuale di estrema gravità, da sfociare in atti di pedofilia ai danni della figlia M. Soltanto dopo la celebrazione del matrimonio l’attrice si accorse che il marito non aveva desiderio sessuale verso di lei, a tal punto di evitare le intimità oppure le chiedeva sempre di avere rapporto orali. Dopo circa due anni dalle nozze, il convenuto cominciò a soffrire di stati di ansia immotivata, mai curata in modo specifico nè con ricorso a specialisti. A ciò si aggiungeva anche il fatto che egli si era sempre disinteressato dell’andamento della casa, della gestione della stessa, nè aveva mai pagato una bolletta. Inoltre, dopo la nascita della bambina, il convenuto passava intere notti davanti al computer e l’attrice scoprì che egli visitava siti porno e chattava con donne, con le quali aveva relazioni virtuali. Ma le sorprese ancora non erano finite! Purtroppo a separazione avvenuta, l’attrice fa un’amara scoperta: la figlia M di soli 4 anni era stata abusata sessualmente dal padre Y. L’attrice rimasta inorridita dell’accaduto, di colpo si rese conto di avere commesso un errore nel momento in cui aveva contratto matrimonio con il convenuto, cioè “di aver sposato un uomo completamente diverso da quello che amavo in realtà” (Summ., 56/17) e di aver celebrato nozze con un “mostro” (Summ., 56/14). Difatti l’identità e la sessualità del convenuto, era rimasta sconosciuta all’attrice sino a separazione avvenuta, quando la piccola M, dopo che il padre era andato via da casa, rivela alla madre degli abusi sessuali. Purtroppo, tale disturbo sessuale era presente nel convenuto già dall’età infantile. Difatti, lo stesso perito nella relazione ha ritenuto verosimilmente che Y da bambino sia stato anche egli vittima di abusi sessuali, in quanto i disturbi di pedofilia, derivano da abusi subiti in età infantile. Ragion per cui tali disturbi, a giudizio del dott. Pastore già erano presenti nel convenuto durante il fidanzamento, il quale era stato bravo a nasconderli e a non lasciare alcun segno o indizio, da far intendere una sua deviazione sessuale. Pertanto, l’attrice al momento della celebrazione nuziale credeva di sposare una persona sana sessualmente, invece per errore si è sposata con un pedofilo. Ebbene, tale disturbo deriva da abusi subiti in età infantile a qualora non curato diventa parte integrante dell’identità o personalità del soggetto, ossia diventa parte dell’essere di una persona affetta da tale disturbo. All’uopo è necessario sottolineare che i sostenitori della cosiddetta tesi evolutiva si dimostrano particolarmente attenti alla dottrina del Concilio Vaticano II, che tratta della persona umana integrale rilevando l’importanza dell’aspetto etico, spirituale, giuridico e sociale, perché è dovere di ciascuno “retinendi rationem totius personae humanae” (Gaudium et Spes, n.3), dal momento che le componenti spirituali sono intimamente connesse con la persona fisica e influiscono nella sua determinazione. Dunque, la persona umana va al di là dell’essere fisico individuo ed estende a quelle componenti spirituali, morali e sociali che sono essenziali alla persona: l’intelligenza, la volontà, la coscienza, la libertà, la sessualità, ecc. (Sommario, pagg. 203-204).
49. Considerato attentamente quanto è stato esposto sia in diritto che in fatto, noi sottoscritti giudici del Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano e di Appello, riuniti legittimamente nella sede del Tribunale, dopo aver invocato il Nome del Signore, pronunciamo e definitivamente sentenziamo che al dubbio proposto debba rispondersi come in effetti rispondiamo:
AFFERMATIVAMENTE
e cioè
consta della nullità del presente matrimonio per errore della parte attrice sulla persona del convenuto (can. 1097, § 1 C.I.C.) e per incapacità del convenuto ad assumere gli oneri coniugali (can. 1095, n. 3 C.I.C.).
Si fa divieto alla parte convenuta di passare a nuove nozze inconsulto hoc Tribunali.
La parte attrice ha già versato la somma di € 525,00 quale contribuito obbligatorio al costo della causa. Essendole stato assegnato un patrono stabile, nulla è più dovuto dalla medesima.
Ordiniamo al personale del Tribunale, cui ciò compete, di pubblicare ed eseguire o far eseguire ai sensi di legge questa Nostra sentenza definitiva, salvi i diritti e gli interessi previsti dalla legge, in particolare quelli del can. 1628 C.I.C. e dell’art. 257, § 2 dell’istr. Dignitas Connubii, ossia adire il Tribunale superiore, non escluso quello della Rota Romana.
Napoli dalla sede del Tribunale, 9 ottobre 2013
rev.mo sac. Andrea PICCIRILLO, preside del Collegio,
rev.mo mons. Pasquale SILVESTRI, giudice istruttore e ponente,
rev.mo p. Filippo GRILLO, congiudice,
rev.mo sac. Salvatore PICCA, notaio
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