Paolo Stefanì – Università di Bari
Uno dei nodi più problematici ed allo stesso tempo ancora irrisolti della disciplina delle nullità matrimoniali canoniche è quello che concerne la “simulazione parziale” relativa al bene dei coniugi (bonum coniugum), che in base alla norma di cui al can. 1055 del codice di diritto canonico del 1983 è riconosciuto quale fine del matrimonio canonico, in aggiunta al bonum prolis, che rappresentava, nel vigore del precedente codice del 1917, il «fine primario» del matrimonio della Chiesa .
Il senso di queste riflessioni consiste nel fatto che, l’assenza sull’argomento di una esauriente giurisprudenza rotale – che non è riuscita ancora a pervenire ad una chiara enucleazione di un concetto giuridico di simulazione relativa al bonum coniugum, distinto da altre figure di “simulazione parziale” e dalla stessa “simulazione totale” – , ha reso protagonista la giurisprudenza dei Tribunali regionali, che assumono, in questo ambito specifico, il ruolo di giurisprudenza «pilota» . La Rota romana ha evidenziato la preoccupazione di accostare il bonum coniugum all’amore coniugale. Ciò perché questa operazione avrebbe potuto comportare il pericolo di soggettivizzare le decisioni di nullità, finendo per «erodere il principio di indissolubilità del matrimonio» .